28 maggio 1994

Creato il 28 maggio 2012 da Marvigar4

Dietro il tragico epilogo c’è la difficoltà degli omosessuali a farsi «accettare» Sconfitti da angoscia e sensi di colpa

   A scorrere la notizia, carica di un amore appassionato e fedele, e di una disperazione che non è disposta a perdonare, gli omosessuali penseranno: «Ci son tante rivelazioni qui dentro, che nessuno le capirà mai». È vero, ogni riga della notizia comunica una novità. Ma dicendo «nessuno», loro intendono gli eterosessuali. Credo invece che le rivelazioni siano più ancora, tante che neanche loro, gli omosessuali, le capiranno mai. Perché qui non c’è solo il ragazzo che crescendo si scopre omosessuale, e decide di fare il gran salto, passare di là, «tradendo» la famiglia, padre, madre, amici, amiche, tutti; operazione già così dolorosa, che non sempre riesce, a volte chi la tenta crolla a metà, si rifugia nella nevrosi o nella malattia, o si uccide. No, stavolta c’è anche l’altra operazione, assai più angosciosa e difficile: quella dell’omosessuale dichiarato che vuol tornare indietro, ricostruirsi come tutti prima lo credevano, uscire dalla minoranza, diventare, come brutalmente (ed erroneamente) si dice, «normale». La domanda allora diventa questa: a passare di là ce l’ha fatta, a tornare indietro ha scatenato la tragedia. È dunque più difficile, più lacerante il passaggio dall’omosessualità all’eterosessualità? La notizia è lì a testimoniarlo: sì. Anche oggi. E vediamo perché. Il ragazzo che si scopre omosessuale, oggi fa sempre in modo che la famiglia lo sappia. A volte ha l’impressione che la famiglia lo apprenda per caso o per disgrazia: ma in realtà è lui che mette in moto quel caso, o quella disgrazia. Perché la rivelazione è la strada che porta all’attuazione di quell’amore. Tanta letteratura e tanto cinema stan lì a dirci che la famiglia (specialmente la madre, quando si tratta di ragazzi) sente l’omosessualità del figlio come una propria «colpa» e un <tradimento> del figlio. Il figlio traditore passa di là, nel mondo di altri traditori. Di là vive con gli altri secondo regole sue, loro. Il massimo che possiamo fare è lasciarlo vivere così. Di là però tutti, anche quelli che non lo ammettono, hanno coscienza di questa separatezza, e ne traggono un bisogno ossessivo di approvarsi continuamente, di confermarsi ogni giorno: uscire da quel mondo e tornare nel mondo etero, è sentito come un doppio tradimento, assai più grave del primo. Lasciando l’amico, lo uccidi, perché l’amico viveva per te e con te. Uccidendoti, lui ti restituisce quel che gli hai dato. Ma tutto questo non succede perché il mondo omosessuale sia più malvagio del mondo etero. In realtà, tutto dipende dal fatto che il mondo etero si considera «tutto» il mondo, fuori di sé non riesce ad immaginare amore, sesso, gioia: se li vede, li carica di colpa, di angoscia, di punizione, li considera un errore della cultura o della natura, una delusione. E dunque questo non è un duplice delitto, omicidio-suicidio, del mondo omosessuale: è sempre il mondo eterosessuale che li uccide. La diversità protegge se stessa. È la normalità che non può tollerarla.

Ferdinando Camon, La Stampa, 28 maggio 1994



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