“La libertà non ve l’ho portata io, ma l’ho trovata qui, in mezzo a voi”.
Si narra che con queste parole l’eroe nazionale albanese, Athleta Christi, Giorgio Castriota Skanderbeg, si rivolse al suo esercito pronto a combattere, subito dopo aver liberato il suo principato, Kruja, dagli Ottomani, e aver innalzato trionfante la bandiera dei Castriota (che in seguito sarebbe diventata la bandiera nazionale dell’Albania) sulla torre maestra del suo castello. Questo aneddoto viene riportato da Marin Barleti nella sua opera Historia de vita et gestis Skanderbegi Epirotarvm principis. È verosimile che l’autore, per eccesso di romanticismo, abbia attribuito al principe di Kruja parole che l’eroe non ha mai pronunciato; ma dentro questa frase si racchiude una grande verità storica: la voglia di libertà del popolo albanese. Un popolo indomito, che mal sopportava la tirannia ottomana, e che non aspettava altro che una scintilla per scatenare la rivolta. Il 28 novembre 1443, data del ritorno di Skanderbeg a Kruja, è una ricorrenza storica per l’Arbëria (cosi si chiamava l’Albania a quei tempi). Questa data segna l’inizio dell’eroica resistenza degli Albanesi contro la più grande potenza bellica del tempo: l’Impero Ottomano; resistenza che si protrasse per ben venticinque anni, fino alla morte di Skanderbeg.
Giorgio Castriota Skanderbeg
Ma il vero capolavoro di Skanderbeg può essere considerato l’impresa compiuta il 2 marzo 1444 ad Alessio (Lezha), quando egli riuscì a riunire tutti i principi albanesi sotto una sola bandiera e con un solo obbiettivo: liberare il paese dai Turchi. Con la morte di Skanderbeg (17 gennaio 1468), gli Ottomani riconquistarono l’Albania che entrerà così nel suo periodo più buio, che si concluderà soltanto dopo quattro secoli. Quattro secoli di sofferenza per il popolo albanese. La maggioranza di esso si convertì forzatamente all’Islam. La “Sublime Porta” era tollerante con i sudditi non islamici; infatti, consentiva ai Greci l’insegnamento della loro lingua. Tuttavia, il trattamento riservato ai sudditi albanesi, anche se di religione musulmana, era diverso. La Turchia aveva, infatti, vietato l’apertura di scuole albanesi e persino l’uso ufficiale della lingua. La politica dei Giovani Turchi che ascesero al potere in Turchia nel 1908, aggressiva verso gli Albanesi, fu la goccia che fece traboccare il vaso. Gli Albanesi cominciarono a rivendicare i loro diritti. Le richieste degli Albanesi alla “Porta” crebbero così poco per volta, a cominciare da quella dell’uso e dell’insegnamento della loro lingua. La situazione interna in Albania e i rapporti con la “Porta” cominciarono a deteriorarsi seriamente all’inizio del 1910 in Kosovo, degenerando presto in un’insurrezione che si propagò più a Sud. Il 29 settembre 1911 l’Italia dichiarò guerra alla Turchia. Il conflitto italo - turco fece precipitare la situazione nei Balcani. Le guerre balcaniche si estesero nella regione come un flagello biblico. Il conflitto fu funestato da esecuzioni di massa, principalmente a danno di inermi civili albanesi, nel Nord da parte dei Serbi e ancor più dei Montenegrini, ma soprattutto nel Sud ad opera dei Greci. L’odio e l’intolleranza razziale e religiosa condussero, in assenza di qualunque autorità di governo e in un clima reso instabile dalla capillare presenza di armi su tutto il territorio, a eccidi e distruzioni in vaste aree di un paese che ancora non esisteva. Le corrispondenze dei giornali del tempo ed i racconti dei memorialisti parlano di villaggi bruciati, mutilazioni, famiglie distrutte o deportate, di uomini e bambini massacrati nel segno della “pulizia etnica”; di colone di rifugiati e scene di disperazione collettiva, di violenze di ogni genere che ricordano in modo impressionante le immagini degli orrori perpetrati nelle guerre di Bosnia e Kosovo, alla fine degli anni Novanta del secolo scorso.
Albania del Nord. Le vittime dei massacri
L’insurrezione albanese riprese nuovamente con forza partendo dal Nord e presto si diffuse in tutto il paese. Questa insurrezione creò le condizioni per la successiva vittoria degli alleati balcanici contro la Turchia e la rese possibile, svolgendo un ruolo che non ricevette forse a suo tempo la dovuta attenzione. Fu in questo clima di formazione della coscienza nazionale dell’antico popolo shqipëtar, che il “vecchio saggio” Ismail Kemal Bey Vlora, il 28 novembre del 1912, innalzò a Valona la bandiera albanese, rossa con l’aquila bicipite nera di Skanderbeg, e l’Albania divenne indipendente dall’Impero Ottomano. Fu formato un governo provvisorio diretto dallo stesso Ismail Kemal, e si decise di eleggere un Senato che controllasse e aiutasse il governo. La proclamazione dell’indipendenza fu notificata alla “Porta” ed alle Potenze europee; una delegazione fu inviata all’estero per la difesa dei diritti degli Albanesi.
Ismail Kemal (a sinistra) insieme a Isa Boletini capo dell’insurrezione dei kosovari contro i turchi
Né la scelta della data, né la scelta del mito di Skanderbeg furono casuali. Il 28 novembre, come abbiamo avuto modo di vedere, rievocava una data storica: la data della liberazione dai Turchi di Kruja (roccaforte di Skanderbeg), in un momento in cui gli Albanesi erano in procinto di sottrarsi definitivamente a quel che rimaneva dell’Impero Ottomano. Il culto di Skanderbeg diventò elemento unificante del sentimento di identità nazionale. Gli Albanesi accantonarono le loro discordie di varia natura. Malgrado le differenze fra il Nord e il Sud, fra i Gheghi e Toschi, tutti gli Albanesi ebbero una reazione patriottica. Il 28 novembre del 1912 verrà ricordato nella storiografia albanese come “il giorno della bandiera”. L’Albania aveva acquisito finalmente l’indipendenza. Secondo i patti internazionali, però, l’Albania sarebbe diventata davvero indipendente soltanto nel 1913. Il 29 luglio 1913, a Londra, la Conferenza degli ambasciatori delle sei grandi Potenze decise che l’Albania era costituita in principato autonomo, sovrano ed ereditario, sotto la garanzia delle sei Potenze [che avrebbero designato il Principe]; in quell’occasione venne anche tracciato lo schema del nuovo Stato. Ma in questa Conferenza furono prese anche delle decisioni vergognose. A Nord, il Kosovo fu annesso alla Serbia. A Sud, la Grecia acquisì la Çamëria.
La mappa dell’Albania etnica
Come si può capire, l’indipendenza costò caro agli Albanesi. Più della metà dei territori popolati da etnie albanesi rimasero fuori dai confini dello Stato albanese indipendente appena nato (Prizren, Peć, Ochrid, Struga, Djakova, Ulcinj, ecc.). Non vanno dimenticati la repressione ed il genocidio subiti dalle popolazioni rimaste fuori dai confini dell’Albania da parte dei Greci e dei Serbi. Il sangue di quegli innocenti grida ancora vendetta. La politica sciovinista dei Paesi confinanti con l’Albania, come la Grecia e la Serbia, dimostra anche oggi nel 2010 che tali Paesi non hanno mai smesso di mantenere pretese territoriali nei confronti di questa nazione. Gli Albanesi non dovrebbero commettere l’errore di sentirsi sicuri e dormire sugli allori, ma dovrebbero restare sempre vigili. I fatti della Conferenza di Londra dovrebbero servir loro come monito per il futuro.
“Il giorno della bandiera”, ancora oggi, riesce ad unire tutti gli Albanesi, ovunque essi si trovino, perché è l’unica festa che si celebra in tutti i territori abitati da Albanesi, di tutte le estrazioni e religioni (cattolici, ortodossi e musulmani), e da tutti coloro che sentono di appartenere al glorioso e antico popolo albanese.
Elton Varfi