di C. Alessandro Mauceri
l 5 Giugno, come ogni anno ormai, è stata festeggiata la giornata mondiale dell’ambiente. Centinaia di incontri, meeting in giro per il mondo, conferenze e campagne piene di belle parole e report ricchi di buoni propositi. Poi, calata la notte, pare che si sia dimenticato tutto e si sia ricominciato a sporcare e ad inquinare, ma con la coscienza a posto.
Forse l’esempio più eclatante di questo modo di fare è il “continente di plastica”. Qualcosa che esiste realmente, che tutti gli scienziati e tutte le pubbliche autorità conoscono e sanno bene che presto diventerà un problema che saranno costrette ad affrontare. Ma per risolvere il quale, nessuno fa niente.
In un documento pubblicato nel 1988 (ma gli studi erano cominciati molti anni prima) dalla National Oceanic and Atmospheric Administration (NOAA), si parlava di una “grande chiazza di immondizia del Pacifico”. Le indagini avevano scoperto elevate concentrazioni di detriti, per la stragrande maggioranza plastica, accumulati nelle regioni dominate dalle correnti marine. Ovviamente nessuno fece niente. Poco dopo si scoprì che una chiazza simile è presente anche nell’Oceano Atlantico.
Solo qualche Ecologista (di quelli con la E maiuscola) si diede da fare per studiare il fenomeno. Nel 2009 venne fuori che l’”isola” del Pacifico pesava oltre 3,5 milioni di tonnellate. Poco tempo dopo si scoprì che le dimensioni sono ancora più mostruose del peso: il Pacific Trash Vortex, questo il nome che è stato assegnato al vortice di spazzatura dell’Oceano Pacifico, aveva un diametro di circa 2500 chilometri ed era profondo più di 30 metri. “E’ come se fosse un’immensa isola nel mezzo dell’Oceano Pacifico composta da spazzatura anziché rocce”, ha detto Chris Parry del California Coastal Commission di San Francisco. Secondo Charles Moore “questa massa galleggiante potrebbe raddoppiare le sue dimensioni entro il prossimo decennio”. C’è stato chi ha pensato che potesse trattarsi di una bufala dato che un oggetto così grande non poteva non essere visto dai satelliti. Poco dopo venne fuori che l’isola di plastica si trova al di sotto della superficie marina, fra i pochi centimetri e i 10 metri di profondità e quindi i satelliti non potevano rilevarla.
Altri studi, altre ricerche, altre conferenze. Ma nessun intervento concreto per ridurre le dimensioni del problema (e dell’isola). Oggi nel mondo vengono prodotti circa 100 miliardi di chilogrammi all’anno di plastica, dei quali buona parte va ad inquinare la Terra. Circa il 10% finisce in mare. Una parte di questa plastica (il 70%) finisce sul fondo degli oceani danneggiando la vita dei fondali. Il resto continua a galleggiare. E la sua quantità aumenta anno dopo anno. Tanto che alcuni ricercatori hanno deciso di cambiare il suo nome e di chiamarla “Great Pacific Garbage Patch”. Ma quale che sia il nome che le viene attribuito, l’isola di rifiuti di plastica è certamente tra i peggiori disastri ambientali della storia, e continua a crescere inarrestata. Si tratta senza ombra di smentita della più grande discarica del Pianeta.
Un mare di spazzatura in mezzo al mare dove è possibile ritrovare anche materiali risalenti agli anni ’50. Si va dai palloni da calcio e da football ai mattoncini per le costruzioni dei bambini, dalle scarpe alle borse, fino a milioni di sacchetti usa e getta. Una sorta di “zuppa di plastica” che anno dopo anno sta finendo per ricoprire tutto il Pacifico. Un quinto dei rifiuti, secondo gli studiosi, proviene da oggetti gettati da navi o piattaforme petrolifere (pochi sanno che in teoria esisterebbero dei controlli per verificare che queste navi scarichino a terra i loro rifiuti e non li gettino in mare), il resto dalla terraferma (anche in questo caso le leggi esistono ma non vengono applicate).
Tutto ciò a conferma della scarsa biodegradabilità della plastica: infatti in molti casi gli oggetti di plastica, pur disintegrandosi in pezzi piccolissimi nel corso del tempo, non si eliminano completamente e i polimeri che li compongono finiscono per restare in mezzo agli oceani o per arrivare nella catena alimentare, scambiati per plancton e mangiati dalla fauna marina (buona parte della plastica di dimensioni minori è stata trovata nello stomaco di pesci e uccelli marini).
E nessuno fa niente per arrestare questo disastro. La sola cosa che si fa è cercare di capire le sue caratteristiche e le cause (come se i dati già rilevati non fossero abbastanza allarmanti). Lo scorso giugno all’Assemblea generale sull’ambiente a Nairobi, in Kenya, due rapporti dell’Onu hanno confermato la gravità del problema. “La plastica ha un ruolo fondamentale nella vita moderna ma gli impatti ambientali, legati al modo in cui la usiamo, non possono essere ignorati” ha rilevato Achim Steiner, il sottosegretario generale dell’Onu e direttore esecutivo dell’Unep spiegando che “bisogna prendere misure appropriate per evitare che i rifiuti di plastica finiscano nell’ambiente”. Ma le Nazioni Unite hanno voluto fare di più. Per dimostrare di essere fattivi nell’intervenire per risolvere il problema, l’11 aprile scorso a Parigi, l’Unesco ha conferito lo status di “nazione” al Garbage Patch State.
Poi, come sempre, tutto è finito lì e milioni di tonnellate di plastica continuano ad essere riversate in mare, ma con la coscienza pulita di chi governa e gestisce le organizzazioni internazionali.
Secondo quanto riportato in uno studio dell’UE “Ogni anno solo in Europa l’industria delle materie plastiche in Europa contribuisce in maniera significativa al benessere attraverso l’innovazione, il miglioramento della qualità della vita, una maggiore efficienza delle risorse e la protezione ambientale. Circa 1,45 milioni di persone lavorano attualmente in oltre 59mila aziende che generano un fatturato annuo di circa 300 miliardi di Euro”. (dati 2011/12).
Non si sa cosa intendano alcuni ricercatori quando parlano di “miglioramento della qualità della vita”. L’unica cosa certa è che pare si stia formando proprio al centro del Mediterraneo una nuova isola di plastica di 500 tonnellate….
Fonte: Notizie Geopolitiche