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Da Frogproduction

C’è tutto un discorso che parte dall’Iliade, passa per Mamoru Oshii e arriva dalle parti di Schubert, oltreppassando Ligeti e Chopin. Non è vero. Che poi non vuol essere un modo fico per buttare tutto assieme, ma un tentativo di mettere assieme degli spunti. Volevo ricopiare dai libri poi alla fine mi sono deciso a riassumere. Poi non so neanche se posso farlo di copiare pagine dai libri, chissà come funziona la legge. Comunque, nel suo intervento in Democrazia: cosa può fare uno scrittore, Antonio Pascale intende fondamentali per la democrazia, le opinioni approfondite. Poi si rivolge al passato e mette in mezzo Socrate ( a sua volta tirato in ballo da Platone ), che pare sia stato uno dei primi a pretendere la “misura” di ciò che diciamo. Punto centrale è che gli dèi mettevano gli uomini in situazioni conflittuali e irrisolvibili, in contrasto fra loro ( una tragedia appunto ). Non andava affatto bene. Urgeva ribellione.
( la morte di Ettore, XXII canto )
Allora Ettore capì nel suo cuore e disse:
Ahimè certo gli dèi mi chiamano a morte:
credevo mi fosse vicino l’eroe Deifobo,
 ma è dentro le mura e mi ha ingannato Pallade Atena
[…] ma non voglio morire senza lotta né senza onore,
 bensì facendo qualcosa di grande, che anche i posteri ricorderanno.
Poi arriva Julian Jaynes con Il crollo della mente bicamerale e l’origine della coscienza ( pare comunque uno studio molto controverso seppure interessante, fate voi ), per cui gli eroi omerici erano in preda alle allucinazioni, in pratica degli automi ( Pascale aggiunge come gli androidi di Philip K. Dick, “così impauriti dal tempo che scorre, incoerenti e commoventi, rimandano a quella mente bicamerale” ). E Pascale conclude: “Così alla sospensione tragica, a quello scarto tra deliberazione e accettazione, tra stupore e azione, si sostituisce il fascino della ricerca, il piacere della conoscenza di sé, degli altri, di sé tra gli altri”. Poi elenca una serie di opere e scrittori in cui si può ancora oggi trovare questa “poetica della sospensione”, tra cui appunto i lungometraggi di Mamoru Oshii.  
GHOST IN THE SHELL
In Perché la musica classica? Lawrence Kramer parla del pianoforte a coda, partendo dalla famosa espressione ( il fantasma nella macchina, appunto ) che indica come corpo e mente non siano entità separate ( se qualcuno non è d’accordo dica pure ). Questo oggetto voluminoso, l’interno che si può intravedere, le sue meccaniche così fredde e il suono così ricco di sfumature, ci siamo capiti. Tutto il libro è interessante, e questo capitolo in particolare, certo bisogna apprezzare la musica classica ( o magari provre ad ascoltarla proprio dagli ascolti presi in esame ), ma non è un libro scritto in maniera esaltata.
 “L’attimo di sospensione fra suono e silenzio, fra animato e inanimato”
E dunque il film, o i film, il primo e il secondo. A parte la bellezza visiva che offrono ( sono film d’animazione ), sono storie intricate, film da rivedere. Anche solo a pezzi, per riassaporare le atmosfere, i silenzi. Sono film in cui esplode a tratti molta violenza e pure ci sono dei momenti di una dolcezza inaspettata, come nella scena in cui il poliziotto biocyborg ( stiamo dalle parti della fantascienza e del cyberpunk, generi a me finora praticamente sconosciuti ) torna a casa e dà da mangiare al suo cagnolone Gabriel. Sullo sfondo guerre tra nazioni, un mondo iper-informatizzato ( qualunque cosa significhi ), programmi che si infiltrano nelle menti altrui, che aspirano a l’unica cosa che gli manca per essere vitali, ovvero la possibilità di riprodursi e non solamente di replicarsi ( ovvero l’evoluzione ). Mumble mumble. A Schubert non ci sono arrivato, e pensandoci bene è venuto fuori qualcosa di molto confuso. Ci riproverò.

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