3 Riflessioni Sulle Cose Che Non Tornano

Da Luca.sempre @lucasempre_

Lydia Goldblatt – Still Here

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Ti racconterò tre storie. Non una di più. Non una di meno.

In tutta sincerità è stato davvero molto difficile per me scrivere quest’articolo (lo capirai solo arrivando alla fine), perciò – se anche a te certe cose non tornano – ti chiedo giusto un po’ di attenzione e, perchè no, un po’ di complicità.

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# Non Tornano

Le cose non tornano.

Ecco, ora lo sai.

Dovrebbero poterlo fare. Dovrebbero saperlo, fare. E invece non lo fanno.

Non tornano.

Spesso mi sono chiesto quale linguaggio artistico potesse raccontare nel modo migliore lo scorrere del tempo e la perdita delle cose che lasciamo lungo la strada a marcire o sonnecchiare da qualche parte, dentro i buchi neri della nostra memoria.

Lo so, quest’apertura suona terribilmente nostalgica, malinconica, tipica di quelle mattine in cui ti svegli e ti chiedi che diavolo ti sei alzato a fare, o magari quelle serate in cui ti ritrovi a fare un bilancio della tua vita alla soglia dei quaranta e scopri – ma forse lo sapevi già da tempo – che se tutto va bene te ne resta un’altra, di metà, da vivere.

E così – senza una ragione apparente – alzi il culo e inizi a correre, cercando di riacciuffare la proiezione migliore di te, quella che ti eri costruito a vent’anni, quella in cui tu sei l’unico dio all’interno di un mondo futuribile e armonico, circondato da discepoli che ti adorano e che farebbero di tutto per poterti toccare anche solo una volta, nella vita.

Perciò, nella speranza di poter un giorno assomigliare alla proiezione di me che mi ero fatto a vent’anni e che oggi come non mai mi perseguita – peggio delle promesse di Renzi o dei 7 goal beccati dal Bayern – eccomi qui a scrivere un articolo dedicato al [tempo], alla [perdita della memoria], e alle [cose che non tornano più].

Ma qual’è lo strumento migliore per raccontare le cose che non tornano più?

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# Come Raccontare Il Tempo Che Passa

La risposta per me è una sola: la fotografia. Perchè la fotografia, a differenza della parola scritta o della parola filmata, è un’evidenza senza possibilità di appello.

Ho sempre pensato che, in fin dei conti, un’immagine racconta molte più storie rispetto a un libro, a un racconto, o a un film

Prendi ad esempio uno scrittore. Quante parole ha a disposizione per descrivere una scena? Quante ne vuole. Potrà usarne dieci o mille, un intero capitolo o un semplice paragrafo, ma non ha alcun limite di sorta. Tranne la sua bravura.

Per il fotografo invece la questione si fa decisamente più complessa. Lui non ha tutto questo tempo. Tolti gli scatti preparatori, ha una sola cartuccia per raccontare un mondo, un personaggio, una scena.

E qualsiasi storia racconti, sarà sempre una storia irrisolta.

Pensaci. Un fotografo può applicare filtri ad ogni scatto, scegliere se raccontarci un mondo in bianco e nero oppure a colori, decidere se concentrarsi sulle rughe di un volto oppure sulla solitudine di una stanza, eppure… dentro ogni fotografia… c’è sempre qualcosa di non detto, che ci sfugge e ci sfuggirà sempre.

La fotografia è immediata. La narrativa no. Almeno non lo è rispetto a come funziona il nostro cervello. Il narratore – con le sue parole – ti accompagna attraverso una scena, un dialogo, un luogo. Dentro un personaggio o una storia ti ci fa entrare poco a poco.

Con la fotografia invece non esiste possibilità di transizione o passaggio graduale. Il fotografo ti sbatte in faccia un’evidenza, senza filtri o premesse. Ti dice “la storia è questa, che ti piaccia o meno”. Fanne pure ciò che vuoi.

Se ci pensi in fondo anche il cinema è una derivazione della fotografia. Ma anche il cinema – come la narrativa – racconta troppo, di una storia. Troppe luci, troppi suoni, troppi dialoghi.

La fotografia no. La fotografia non racconta. Evidenzia. Toglie il superfluo e arriva dritta all’anima.

Ecco perchè, secondo me, la fotografia è lo strumento migliore per raccontare – a noi poveri spettatori imbambolati di questo nuovo millennio – lo scorrere del tempo e l’accumulo di cicatrici, ferite, perdite e memorie.

Così, da questo momento in poi, le mie parole saranno sempre meno urlate e sempre più sfocate, sussurrate, appannate.

Ti racconterò tre storie attraverso la pittura di luce.

E alla fine di questo viaggio, ne sono sicuro, non sarai più lo stesso.

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# Ogni Anno Per 40 Anni

Era il 1975 quando il professor Nicolas Nixon, docente di fotografia di fama mondiale presso il Massachusetts College of Art, decise d’immortalare la moglie Bebe, all’epoca venticinquenne, insieme alle sue tre sorelle, Heather, Mimi e Laurie – rispettivamente di 23, 15, 21 anni.

Rimase talmente impressionato dai risultati che decise di farlo diventare un appuntamento fisso.

Così ogni anno, per i 40 anni successivi, le quattro sorelle Brown si fanno immortalare nella stessa posizione del 1975.

Ne esce fuori il progetto Forty Years of The Brown Sisters, una meravigliosa riflessione fotografica sullo scorrere del tempo, sull’amore e sull’amicizia che è già diventata un libro di culto e una splendida mostra fotografica che dal 22 novembre 2014 al 4 gennaio 2015 riempirà le sale di uno dei più importanti musei di arte contemporanea del mondo, il Moma di New York.

1975

1981

1984

1985

1990

1997

2000

2010

2012

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# Ancora Qui

Parliamo ancora di famiglia, ma questa volta lo facciamo attraverso lo sguardo dei figli.

Una figlia, in questo caso.

Lydia Goldblatt, nel suo progetto Stille Here (2010-2013), prende come punto di partenza la casa di famiglia mettendo al centro delle sue riflessioni l’esperienza di transizione dei genitori man mano che questi invecchiano.

Il risultato finale è una straordinaria combinazione di nature morte e giochi di luci che ci restituiscono un legame profondo e malinconico con chi ci ha amato più di ogni altra cosa e che presto ci lascerà per andare incontro a un’altra vita. Forse.

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# Sopravvissuti – 10 Anni Dopo

Dopo gli attacchi alle Torri Gemelle dell’11 settembre, un centinaio di cani furono inviati nella zone del disastro nel tentativo di recuperare le vittime ancora intrappolate all’interno del World Trade Center e del Pentagono.

Il fotografo Charlotte Dumas, 10 anni dopo, è riuscito a rintracciare 15 di quei 100 cani-eroi ancora in vita. E li ha immortalati nel suo progetto Retrieved.

Quella che segue è una raccolta struggente dei loro ritratti.

E quando guardo questi eroi a quattro zampe me li immagino sull’attenti, col picchetto d’onore che accompagna le loro storie, vecchi eppure ancora in grado di sopportare il peso della loro storia e di quella terribile memoria.

E quando guardo questi eroi immagino il mio cane che mi ha lasciato un mese fa. Immagino io e lui sempre insieme. In un’altra vita. Sull’attenti. Cercando di salvare la nostra memoria.

E le cose che non tornano più.

Tag:Famiglia, Fotografia, Genitori, Memoria, Tempo, Torri Gemelle


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