30) Racconto: Il drenatore

Da Angivisal84

Il drenatore di Lorenzo Crescentini Creatura: Ombra
Nel sogno il cuore di Christina esplodeva in una pioggia di sangue rosso brillante.La vita si riversava fuori dalle arterie tagliate, la linfa di lei lo investiva, ricopriva il suo volto, i suoi vestiti, le pareti, ogni cosa. Il mondo annegava nella sua agonia, lei era sempre più pallida ma il getto scarlatto non si esauriva, la sua morte era perpetua e sospesa nel tempo.
Luce. Il picchiare del manganello sulle sbarre di acciaio.Si alzò a sedere sulla branda, l'immagine della ragazza svaniva come un sasso che va a fondo nelle acque scure di un lago.Istintivamente guardò la porta della cella, ma non vide nessuno.L'eco del suono metallico che l'aveva richiamato dal sonno si spense nel bagliore soffuso e innaturale che filtrava dalla piccola finestra.Si voltò verso il letto di fronte al suo, lui era di nuovo lì.L'uomo ombra se ne stava seduto sulla branda, le gambe incrociate sul materasso e la schiena appoggiata al muro.L'altro lo guardò per un po' in silenzio.- Non l'ho uccisa io. - disse. L'ombra non rispose. Tese l'orecchio verso il corridoio, tentando di captare un qualsiasi rumore proveniente dall'edificio. Non si aspettava di sentire nulla, e infatti non sentì nulla: era di nuovo sospeso in quell'istante senza tempo, nello scorcio di eternità che l'essere portava con sé quando lo veniva a trovare.- Non l'ho uccisa io. - ripeté. L'altro non disse niente, accavallò le gambe e continuò a osservarlo.- Perché continui a tornare? - chiese l'uomo – Cosa vuoi da me? L'ombra non parlò. Si alzò in piedi, puntò il palmo della mano verso di lui.
Di nuovo la sensazione di sprofondare nell'abisso.Suoni e immagini si affacciavano per un istante alla sua coscienza, per poi svanire nel turbinio di luce e oscurità nel quale la sua mente annegava senza appiglio.Occhi grandi e verdi si aprirono nel buio e lui vi cadde attraverso, il profumo di lei lo avvolse e lo invase; nell'abisso risuonò la sua risata, sentì sulle dita la morbidezza della sua pelle mentre...
Carponi sul pavimento, sudato e scosso dai brividi.A fatica imparò di nuovo a respirare.- Bastardo.Rimase a terra per alcuni secondi, ansimando forte, ingoiando tutta l'aria che poteva.- Esci dalla mia testa.Èmorta.Non sono stato io. Fu solo in quel momento che si accorse di non trovarsi più nella sua cella. Alzò lo sguardo, esterrefatto, e osservò le pareti rivestite in legno chiaro e semplice da cui spuntavano una serie di pulsanti grigi numerati. Un gradevole sottofondo lounge giungeva dai piccoli altoparlanti dissimulati nel soffitto, diffondendosi nell'ambiente. Si trovavano in un ascensore. Le porte verdi erano chiuse, la linea di luce che le separava era troppo sottile per potervi distinguere qualcosa attraverso, il bagliore era interrotto da intervalli scuri, come quelli che si incontrano passando da un piano all'altro. Prima ancora che potesse chiedersi cosa ci facesse lì, l'uomo si trovò suo malgrado a fissare il segmento luminoso. Non avvertiva un senso di movimento, eppure l'ascensore non era fermo. La cosa ipnotica era che osservando la linea di luce non riusciva a distinguere il senso dello spostamento, sembrava che ce ne fosse più di uno: prima aveva l'impressione di scendere, quindi pensava di stare salendo. Inconsciamente gli tornarono in mente quelle illusioni ottiche che aveva visto da piccolo, “da che parte sta ballando la ballerina?”, “lo spigolo è verso l'interno o verso l'esterno?”. Fu solo quando si ricordò dell'altro che distolse lo sguardo, voltò la testa e si trattenne dal fare un balzo all'indietro. L'uomo ombra era lì, tranquillo, appoggiato alla parete opposta. L'aveva già visto altre volte, momenti in cui l'essere aveva fatto capolino nella sua cella, seguito da quella paralisi temporale che annientava lo scorrere dei secondi. Ogni volta aveva sentito una mano impalpabile frugare nella sua memoria, palpeggiare i suoi ricordi, e tra quelle dita evanescenti i suoi pensieri diventavano cera malleabile, la sua mente si avventurava lungo sentieri sconosciuti e improbabili. Tuttavia era la prima volta che si trovava così vicino alla creatura. L'oscurità che componeva il suo corpo cominciava pochi centimetri più in là di dove finiva la stoffa della sua divisa da carcerato, al di sotto di quelle tenebre riusciva ad avvertire la presenza di qualcosa in costante movimento, ma non riusciva a focalizzare lo sguardo. Nel punto in cui si avvicinava all'essere il legno della parete appariva opaco e sfocato, attorno all'uomo-ombra la realtà diveniva incerta, confusa e vibrante. Lui lo guardava a sua volta. L'uomo non riuscì più a sostenere la pressione di quello sguardo amorfo e girò la testa. Gli occhi gli caddero sui pulsanti, e si accorse che i numeri che avrebbe giurato di aver visto erano scomparsi, sostituiti da caratteri bizzarri che non conosceva. Li fissò, senza riuscire a cancellare la sensazioni che anche questi stessero mutando, lenti e scivolosi, ma gli bastava battere le palpebre perché tornassero al proprio posto. Guardò di nuovo la linea che separava le porte, ora la luce che vi filtrava virava dal rosso al viola, e al salire e scendere si erano aggiunti nuovi movimenti, a tratti gli sembrava di spostarsi in avanti, indietro e in direzioni che non riusciva a definire; poi anche queste sensazioni furono sopraffatte da altre, lo scorrimento divenne una sorta di pulsazione, non era più un “avanti indietro” ma un “dentro fuori”, e fu preso dall'assurda certezza che quel “dentro” era l'interno del suo corpo, che la macchina dentro cui si trovava fosse il cuore che pompava sangue nelle sue vene, poi il movimento palpitante cessò e l'illusione scomparve, di nuovo tornò a salire, a scendere, a ruotare, a piegarsi...
Cadde in ginocchio.
- Dove siamo? - mormorò.Fuori. - Fuori da cosa? Da tutto.L'uomo tornò a guardarlo con lucidi occhi disperati, specchio del deterioramento che stava corrodendo la sua mente.- Perché mi hai portato qui? - chiese. Di nuovo l'essere mosse la mano, di nuovo lui precipitò in una palude buia e in fermento, la pece nera e appiccicosa si avviluppò sul suo corpo e gli si insinuò negli occhi e nelle narici mentre vi sprofondava. Alzò la testa e di nuovo la vide, diafana e sospesa a mezz'aria, il sangue che sgorgava dalle ferite del suo corpo scivolava lungo il suo corpo fino ai piedi nudi e da lì grondava nella palude divenendo catrame fumante e... - No! - urlò, riaffiorando, risalendo a quell'altro piano di realtà, quello in cui si trovava “al di fuori” insieme alla creatura che drenava la sua mente a piacimento, ma questa volta l'immagine evocata non scomparve del tutto, bensì andò a sovrapporsi alla piccola scatola che continuava a muoversi lungo rotte inconcepibili; era nell'ascensore, era nella palude, e c'era dell'altro, era in una stanza buia in cui una voce urlava a squarciagola, disarticolata e primitiva; riconobbe la voce, era la sua. In una di queste realtà cominciò a tremare violentemente.- Non l'ho uccisa io. - disse, o forse pensò, a quel punto era la stessa cosa. Le sue stesse parole gli suonarono incerte. Era vero? Era davvero innocente? Non si ricordava di averla uccisa, lui... lui...- Io l'amavo – cominciò a piangere, stringendosi la testa tra le mani.Lei non voleva essere più tua. Iniziò a gemere, dondolandosi avanti e indietro sul pavimento di gomma, nel fango, sulle piastrelle fredde, su una spiaggia buia dove un uragano sollevava onde di sabbia e conchiglie, in un cielo luminoso punteggiato di stelle nere e sanguinanti.- Avevo bisogno di lei. Eppure non l'aveva fatto, ne era convinto, e allo stesso tempo sentiva l'odore del suo sangue sulle mani, quel sangue che lì non c'era mai stato.Tu hai desiderato la sua morte. Così non sarebbe stata di nessun altro. Cercò di ribattere, ma i pensieri iniziarono ad aggrovigliarsi, i ricordi si fecero contraddittori; diverse versioni dei fatti lo ritraevano ora colpevole, ora innocente, ora disperso in luoghi sconosciuti e silenziosi. Tutte sembravano ugualmente credibili, come se altre vite in dimensioni parallele gli fossero rivelate e ora si trovasse in un punto di contatto, in una falla, oppure...- Sono stato davvero io a ucciderla? Questo è l'inferno?Non siamo all'inferno. Ti ho detto che siamo fuori.A queste parole il senso di “fuori” assunse dimensioni e significati talmente vasti e assurdi da colpirlo come un pugno sferrato direttamente al suo cervello, spingendolo al collasso. Fu preso da un terrore folle, annichilente, totale: il terrore che quelle porte si aprissero, spalancandosi sulla non-essenza, sulla vacuità al di fuori di ogni cosa e ogni tempo. I brividi divennero spasmi quando vide che la linea che teneva separati i due pannelli scorrevoli si era lievemente allargata, lo sguardo gli cadde sul microscopico scorcio di ciò che c'era oltre la cabina e un altro brandello di sanità mentale lo abbandonò. Si catapultò dalla parte opposta, aggrappandosi alle gambe della creatura, e appena ne toccò la natura immateriale la sua testa esplose in miliardi e miliardi di visioni simultanee, innumerevoli realtà che conflagrarono nell'ascensore martoriando quel che rimaneva della sua coscienza; vide la palude di catrame, la spiaggia e il suo tsunami di polvere e cenere, vide le sue mani dilaniare il collo di lei e i suoi denti affondarle nella carne rossa e viva, vide un ragazzo che scalava una montagna insieme al padre, sentì i propri occhi strappati da mostri bianchicci e squamati nel buio rabbioso di un mondo famelico, vide due guardie carcerarie fare irruzione in una cella e trascinare via l'uomo che urlava graffiandosi il volto, vide orizzonti grotteschi e alberi che nascevano già morti, si vide martire, libero, assassino, ogni cosa era un frammento impercettibile, una scheggia che con tutte le altre componeva un vortice di realtà contrastanti e coincidenti, e ogni cosa accadeva contemporaneamente, ciascuna delle infinite dimensioni che l'ascensore teneva in contatto tra loro gli si erano riversate addosso nell'istante in cui aveva toccato il corpo del drenatore. I mondi iniziarono ad accavallarsi uno sull'altro, a mescolarsi e generare nuovi piani di esistenza impossibili ma non per questo tangibili, e quando la molteplicità del presente raggiunse il limite ultimo di resistenza della sua mente nella cabina suonò un “din-dong” e le porte si aprirono. L'uomo guardò, ci fu uno schiocco sordo, la sua mente si spense e ogni cosa scomparve. Rimase lì, accucciato sul pavimento di gomma, a ridacchiare piano, mentre le porte si richiudevano e l'ascensore proseguiva nel suo viaggio.