30 seconds to leto

Creato il 05 giugno 2013 da Cannibal Kid
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30 Seconds to Mars “Love, Lust, Faith + Dreams” I 30 Seconds to Mars sono uno dei casi musicali più clamorosi degli ultimi anni. Non perché la loro proposta musicale sia rivoluzionaria, anche se di certo è molto personale e il loro sound è immediatamente riconoscibile. La cosa più impressionante è il loro seguito. Un seguito che non ha nulla da invidiare al Movimento 5 Stelle o a Scientology. Un seguito di tipo quasi religioso che ha pochi pari. Sono un po’ i Terrence Malick della musica. Nei loro confronti si può riporre una Fede assoluta, o in alternativa considerarli dei ciarlatani. Non ci sono mezze misure e, massì, non ci sono più manco le mezze stagioni. Il motivo di tanto amore/odio nei loro confronti sta più che altro in una figura. Lui. Il Leader. Jared Leto. Perché è tanto venerato/disprezzato?
In entrambi i casi, perché è un figo pauroso. C’è poco da fare. Jared Leto ha quel tipo di fascino magnetico cui è impossibile resistere, e allo stesso tempo è impossibile non provare nei suoi confronti una notevole dose di invidia. Jared Leto è nato per fare l’idolo adolescenziale. Sempre e comunque. Negli Anni ’90/primi Anni Zero, grazie alla serie cult My So-Called Life e a una serie di ruoli in film ancora più cult come Fight Club, Requiem for a Dream, La sottile linea rossa e American Psycho. La tv e il cinema però non erano sufficiente. Visto che non era ancora figo abbastanza, ha deciso di mettersi a fare pure la rockstar, ha deciso. Con i suoi 30 Seconds to Mars ha costruito piano piano non solo una band, ma un vero e proprio culto, con tanto di simbologia, un fanclub che è una truppa chiamata Echelon, e tutto un immaginario musicale e visivo, con tanto di splendidi video diretti dallo stesso Jared Leto (perché recitare e cantare per lui non era ancora abbastanza), sotto lo pseudonimo di Bartholomew Cubbins. Pur non essendomi arruolato nei fan Echelon, io sono sempre stato dalla parte dei 30 Seconds to Mars, di Jared o di Bartholomew che dir si voglia. Come attore ho seguito la sua intera carriera e negli ultimi tempi bisogna riconoscere che sta diventando sempre più bravo, si vedano le sue ultime rare e impressionanti parti al cinema in Mr. Nobody e Chapter 27, dove ingrassatissimo interpreta l’assassino di John Lennon.

"Attento a quello che scrivi, Kid, che il nostro esercito di fan ti bombarda!"

Negli ultimi anni, il suo impegno si è però concentrato soprattutto sui 30 Seconds to Mars. Qualcuno, forse facendosi prendere dall’invidia nei confronti dell’enorme figosità di Jared Leto, li ha etichettati semplicemente come una teen emo band per ragazzine in calore. In realtà si tratta di un gruppo che, pur con qualche eccesso di epicità alla Muse non sempre facile da digerire, propone uno stadium rock di notevole impatto, ma spesso lontano da ruffianate o facili trucchetti commerciali. Il loro primo omonimo album è anzi un disco di space rock con ben poche concessioni radiofoniche, più dalle parti di Tool e A Perfect Circle che non del sound tipico da teen idols. Ma il botto, quello vero, è arrivato solo con il secondo disco “A Beautiful Lie” e nemmeno subito. Canzone dopo canzone, video dopo video, i loro followers soprattutto in rete sono cresciuti in maniera esponenziale. Merito della figosità di Jared Leto, naturalmente, ma anche di pezzi notevoli come “From Yesterday” e “The Kill”, accompagnati da video enormi e ricchi di citazioni cinematografiche.

Il successivo “This Is War” ha proseguito sulla stessa fortunata rotta e anche il nuovissimo quarto album “Love, Lust, Faith + Dreams” non si discosta molto dalla loro formula consueta. Cosa che significa epicità a manetta, Jared Leto che urla spesso e volentieri, un sacco di cori, ma anche un sound più orientato verso l’elettronica, atmosfere ancora più tese, thriller, cinematiche. Un album che colpisce nella sua interezza, nel suo magma sonoro in cui qua e là con gli ascolti emergono squarci di notevole bellezza.

Se il primo singolo “Up in the Air” è cazzuta ma anche abbastanza pop da passare in (qualche) radio, il vero pezzone dell’album, quello che rischia di allargare ancora di più la truppa di loro fan-soldati, è “City of Angels”. Faccio un paragone esagerato dei miei? E lo faccio, massì, lo faccio. “City of Angels” è la “Under the Bridge” della nuova generazione. E che nessuno si scandalizzi perché: 1) I Red Hot Chili Peppers non è che adesso sono tutti ‘sti paladini del rock alternativo. 2) I miei paragoni sono famigerati per essere assurdi e credo di averne sparate ancora di più grosse.
3) Sono entrambe canzoni su Los Angeles e quindi non rompete il ca**o.
Il resto dell’album procede tra altri buoni pezzi, come l’esaltante “The Race”, qualche numero bell’e pronto per essere utilizzato in una soundtrack come “Pyres of Varanasi” e “Convergence”, l’elettronica di “Do or Die” e un’altra ballatona strappamutande come “Bright Lights”. Un disco con un suono di insieme intrigante, ma sopra a tutto si erge la citata “City of Angels”, futuro classico del repertorio della band. Ché proprio quando pensi che Jared Leto non possa diventare più figo, lui ti tira fuori un pezzo così e allora non ti resta che amarlo ancora di più.
Amarlo o odiarlo. (voto 6,5/10)


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