Personalmente la parola glück più che "felicità" l’avrei tradotta beatitudine, visto che in questi racconti di felicità non c’è traccia.
Gli attimi che colgono i nostri personaggi, infatti, analizzati da un osservatore esterno che viene identificato o come uno straniero in visita a San Pietroburgo o da un ricco e cosmopolita russo, sono la pura e semplice manifestazione della beatitudine. Il senso di vuoto che lasciano queste storie nel lettore, infatti, deriva dal fatto che nell’epifania della beatitudine si è tremendamente soli. Un osservatore esterno non potrà mai percepire il senso di pienezza e soddisfazione del “beato”, anzi all’esterno ogni suo gesto e ogni sua azione apparirà come grottesca o fuori luogo.Per come l’ho letto io, quindi, in questa raccolta più che raccontarci della “felicità” Schulze ci vuole parlare della “beatitudine”, che sceglie di rappresentare in modo originale ed estremamente poetico: mettendo in scena la “toska”. Lo scrittore, infatti, ha pienamente saputo riprodurre quel sentimento di nostalgia e vaga inquietudine che non solo coglie quando lo stato di beatitudine ci abbandona, ma che arriva e ci assale quando, sulla soglia della vita, capita di osservare uomini beati e persi.Alla prossimaDianaPotrebbero interessarti anche :