35 morti

Creato il 15 maggio 2013 da Federicobona @Federico_Bona

Quando fatico a scriverne, non so mai se è il libro a essere difficile da raccontare o se sono le mie sinapsi a essere intorpidite. È un fatto che questo romanzo non so bene da dove prenderlo, ma è un fatto pure che è oltre un mese che non scrivo recensioni. Di certo c’è che 35 morti viaggia a un ritmo travolgente, tagliato com’è in capitoli brevi, ciascuno stipato di avventure e di personaggi quando addirittura non di nuovi punti di vista che si sommano alla storia principale, quella di un ragazzino nato nella Colombia di fine anni Sessanta e ritrovatosi presto orfano, che passa con leggerezza, incoscienza e una certa arrendevole passività attraverso i fatti più importanti di 35 anni di storia colombiana. Ci sono comuni rivoluzionarie e teppisti di strada, manifestazioni studentesche e spacciatori di droga, addestramenti militari e ashram, in un turbinio continuo che vive sul contrasto tra una vitalità infinita, raccontata con uno sguardo spesso comico, e la tragicità degli eventi che colpiscono la vita e gli affetti di tutti i personaggi. Ma non è quello che si dice un affresco storico, perché l’insieme resta sempre sullo sfondo, sfumato di fronte alla vividezza delle centinaia di personaggi che lottano continuamente per attirare la nostra attenzione, anche solo per il breve intervallo di poche pagine, e sono terribilmente veri, incredibilmente presenti. E questo, in fondo, è il pregio e insieme il limite del libro che, lungo com’è, a tratti sembra persino troppo pieno e non ti lascia mai tirare il fiato. Però – cavoli! – avercene di problemi di questo tipo. Ah, un’ultima cosa: Bolaño, ormai tirato in mezzo per tutti i narratori sudamericani, non c’entra proprio nulla, e questo è un bene non da poco in un’epoca in cui anche in Europa non possiamo non dirci bolañani.

35 morti, Sergio Álvarez, traduzione di Elisa Tramontin (La Nuova Frontiera, 392 pp, 20 €)


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