Lo spettro di Vingal di Stefano Oldani Creatura: Ultrag
Era la prima notte di primavera. Le nubi erano svanite e le stelle splendevano, come occhi luminosi e distanti che guardavano assonnati una terra dormiente.Bran se ne stava seduto su uno sgabello nei pressi della porta di Vingal, la schiena poggiata contro la palizzata nodosa.Aveva fatto la guardia per due notti consecutive, la testa gli ciondolava per la stanchezza e solo la brezza fresca che scendeva dalle montagne riusciva a tenerlo sveglio.I cavalieri, partiti due giorni prima, sarebbero tornati l'indomani; come previsto la strada era deserta. Nessuno entrava, nessuno usciva.Era un compito noioso, che Bran cercava inutilmente di ravvivare sgranchendosi le gambe, fischiettando o lanciando sassi contro gli abeti vicini.Stava quasi per cedere alla tentazione del sonno quando un gran fracasso esplose alle sue spalle.Si alzò di soprassalto, afferrò la fiaccola e superò la palizzata, temendo di sapere il motivo di tutto quel baccano.Gorlen e Talas erano era a terra, aggrovigliati in una rete da pesca.“Stavamo giusto venendo a darti il cambio.” disse Gorlen, con la parlata strascicata degli ubriachi.“Si, c-c-certo.” Ribattè Bran, più seccato che contento di vederli, con quel balbettio che si portava dietro dalla più tenera età.“Siamo riusciti a scacciare la nave del popolo del mare,” continuò Gorlen, liberatosi dalla rete “quindi abbiamo pensato di festeggiare con un po’ di birra!”“Già,” lo sostenne Talas “non li sopporto quelli. Anzi sai che ti dico?” Si alzò, ma subito dovette appoggiarsi alla palizzata per non cadere “Li avrei presi a calci, se non se ne fossero andati di loro spontanea volontà.’’“And-d-date a c-casa adesso.” disse Bran cercando di sorreggerli “avete g-g-già f-f-fatto abbast-t-tanza r-r-rumore.”Per tutta risposta Talas vomitò sul selciato. Gorlen, tenendosi una mano sullo stomaco gonfio, lo afferrò per i capelli per non farlo franare a terra.“Non riesco ad accompagnare questo bastardo dalla mamma.” disse Gorlen “Portacelo tu, ci sto io di guardia.”“N-n-no. I-i-o n-n-non mi m-m-muovo.”“Smettila di fare l’egoista, Bran. Sei qui seduto a non far nulla, dai almeno una mano a un amico in difficoltà!”Nel frattempo Talas era caduto e terra, sporcandosi del suo stesso vomito.“I-in c-c-cambio m-mi farai p-p-pulire i c-c-cavalli a-a-al p-posto tuo?” Ribattè secco.Cominciava ad essere stufo di essere trattato come uno sguattero.“Lascia stare il passato, amico.” Gli rispose Gorlen sorridendo. “D’ora in poi sarò più gentile con te.”Talas tentò di annuire, ma riuscì solo a vomitarsi sul petto.
“Sp-p-postati stupido.”Spinse via Gorlen e con le braccia scheletriche cercò di far rialzare il secondo ubriaco.“Lo ac-c-compagno a c-c-casa. T-t-u stai d-d-di g-g-guardia.”“Sapevo di poter contare su di te. Sei proprio una brava persona.”“St-t-tai zit-t-to a-a-almeno.”Bran si mise il braccio di Talas attorno al collo e, disgustato ogni passo di più dal fetore del compagno semisvenuto, si addentrò fra le strade buie di Vingal. Gorlen, intanto, si andò ad accomodare sullo sgabello su cui era seduto Bran fino a poco prima.“Niente di meglio di una bella dormita al fresco.” mormorò, avvolgendosi nella pelliccia.I fumi dell’alcol lo stavano trascinando verso un sonno profondo, quando un impellente bisogno di urinare arrestò quella dolce deriva.“O da sopra o da sotto.” Bofonchiò alzandosi. “Da qualche parte dovrà uscire tutta questa birra.”Barcollò verso uno degli abeti più volte lapidato da Bran durante le notti di guardia e diede libero sfogo alla vescica.Mentre innaffiava il tronco, un improvviso frusciare di ramaglie lo colse di soprassalto.Per lo spavento si schizzò sui pantaloni e imprecò.Si voltò. La porta e la strada erano deserte. Tutto era immobile.“Chi va là?” domandò alla notte che lo circondava.Nessuno rispose.“Ti sei preso uno spavento per niente.” disse tra sé e sé “Devi aver bevuto troppo.”Fece per tornare indietro quando udì dei passi.Il cuore gli salì in gola e faticò a deglutire. Si passò una mano sugli occhi, cercando inutilmente di riacquistare lucidità.“Chi c’è?”Fruscio tra le foglie.“Fatti vedere!” Allungò la mano verso la spada ma il fodero era vuoto. Ricordò di averla dimenticata nella locanda e si maledisse per la sua stupidità.Un secondo fruscio.Corse verso la strada.Un uomo in piedi a braccia conserte comparve fra gli alberi a bordo della via.“Chi sei?” chiese, mascherando la paura con un tono aggressivo.L'altro cominciò a fischiettare e il suono lo raggiunse basso e lugubre nella notte.Gorlen cominciò a scappare verso Vingal, ma la birra trasformò la fuga in poche e scoordinate falcate.Cadde a terra.Due mani lo afferrarono in una morsa e lo rivoltarono supino a terra.L'essere sopra di lui lo teneva intrappolato, puntandogli un pugnale alla gola.Seppur stordito dalla birra, Gorlen capì di non avere un uomo davanti a sé.Il volto era pallido e cinereo come quello di uno fantasma. Gli occhi, grandi e incavati, erano completamente neri, abitati da un’oscurità così profonda che nemmeno la luce della luna riusciva a diradare. Il mostro cominciò a fissarlo con lo sguardo di una belva che stava per addentare una preda ferita.Era un Utrag. Gorlen, in preda al terrore, cercò di divincolarsi dalla sua presa, ma fu tutto inutile.La creatura avvicinò il suo viso a quello dell’uomo, lo annusò ed ebbe un sussulto, come inebriato dall’odore della paura.Si passò la lingua sui denti fitti e aguzzi e sibilò: “Dov’ è la ragazza?” Gorlen mugolò terrorizzato, finché la punta del coltello, che cominciava a incidergli la pelle, lo convinse a parlare.“Al porto.”“Bene.”La voce dell’Utrag fu l’ultima cosa che sentì, poi una lama saettò nel buio e tutto si spense.
“Ti accompagno.” disse la donna, trattenendo il veterano per la spalla.“No, meglio di no.” Ribattè secco Hassel “Da quando si è diffusa la notizia della presenza di un servo del Nemico qui in città, per le strade non c’è che panico e disordine.”L’uomo si strinse il mantello attorno al collo.“Ma è nostra figlia!” ribatté la donna. “Come puoi pretendere che io stia qui in casa ad aspettare?”“Enid.” Hassel lanciò un’occhiata severa alla moglie “Capisco come tu ti senta, ma so per esperienza che gli uomini spaventati sono molto pericolosi, e di paura oggi ne è circolata fin troppa.”Senza aspettare una risposta l’uomo uscì di casa, reggendo una lanterna con l’unica mano scampata alle mutilazioni della guerra.Il suo animo tormentato contrastava con la calma irreale della banchina.Le navi sembravano dormire, accarezzate dalla brezza e cullate dalle onde; Hassel, invece, era terribilmente preoccupato per le sorti della sua unica figlia.Kevy era uscita all’alba per raggiungere la sartoria dove lavorava da qualche mese. Di solito rincasava prima del tramonto, ma non quella notte.Dopo ore di attesa vana e trepidante Hassel aveva deciso di agire. Non si fidava delle capacità delle guardie di mantenere sicura la città, a maggior ragione ora che un Utrag si aggirava entro le mura di Vingal.Non era la prima volta che aveva a che fare con gli Utrag, uomini da secoli corrotti dai malefici del Nemico. Dopo trent’anni di servizio fra le truppe imperiali, sapeva che la loro fama di spettri forieri di panico e morte era più che meritata.Hassel si addentrò fra i vicoli di Vingal, spiando all’interno di ogni finestra da cui filtrava della luce e accostando l’orecchio su ogni porta da cui proveniva del rumore.Niente. Di Kevy non c’era traccia.Stava quasi per arrendersi quando udì un mugolio soffocato provenire dalla bottega del fabbro.Si avvicinò, temendo che il suo udito lo stesse ingannando, materializzando suoni che desiderava sentire.Sollevò il lume e guardò all’interno. La luce tenue della fiammella rivelò la sagoma di un uomo di spalle.Appena i raggi della lanterna illuminarono la stanza, la figura scomparve con rapidità innaturale, rendendo visibile un corpo esanime disteso a terra.Il respiro di Hassel si spezzò in gola. Si avvicinò all’ingresso della bottega, la serratura era scassinata. Quando la spinse, la porta si aprì cigolando.Kevy era a terra nei pressi della fornace. Gli occhi erano sbarrati e su di essi la morte aveva disteso il suo velo. Il volto, rigato dalle lacrime, era deformato in un’espressione di terrore. Le vesti erano stracciate e i seni nudi e sfregiati erano coperti di sangue rappreso, segni di una tortura e di un’agonia lunga e straziante.Hassel era sconvolto da quel macabro spettacolo. Stava per scoppiare in lacrime, quando udì un tintinnio alle sue spalle.Si voltò di scatto e si guardò attorno.La fievole luce illuminava l’interno della fucina. Il suo sguardo scivolò su incudini, martelli, pinze e sbarre di metallo; ogni cosa era immobile ma il mostro era lì da qualche parte.Sentì il cuore accelerare, le mani raffreddarsi, i sensi acuirsi. Dopo anni di inattività, il suo corpo si stava preparando a combattere.Tastò il tavolo accanto a sé. Con la mano sinistra trovò un lungo puntale, l’unica cosa che somigliasse a un’arma.Posò la lanterna e afferrò il chiodo con la mano buona, impugnandolo come un coltello.“Vieni allo scoperto, feccia del Nemico.” Mormorò, stringendo i denti.Una risata sgorgò dalla penombra. L’Utrag comparve da dietro una cassa e il suo braccio si mosse fulmineo.Qualcosa, forse un dardo o un sasso, sfiorò il fianco di Hassel, colpì la lucerna e la mandò in frantumi, facendo piombare tutto nell’ombra.Hassel udì dei rapidi passi scattare verso di lui e scartò di lato. Atterrò sul lato sinistro del corpo e, non potendo far perno sul braccio per rialzarsi, rotolò fino a trovarsi con la schiena contro uno dei pilastri di legno che sorreggeva il tetto della costruzione.Il suo respiro era pesante e affannoso. Pochi raggi lunari filtravano dalle finestre, gettando un pallore di morte nella stanza.L'essere si lanciò nuovamente contro il vecchio soldato, ma Hassel fu abbastanza veloce da spostarsi sull’altro lato della colonna, senza staccare la schiena dal legno. La lama del nemico lo mancò di un soffio e trafisse un lembo del mantello.Il combattimento si placò per un istante.Hassel udì il cigolio dell’armatura di cuoio dell'avversario dietro di sé. Erano entrambi a terra, le spalle premute contro i lati opposti del pilone.Si slacciò il mantello, trasse un profondo respiro e chiuse gli occhi.Tutto avvenne in pochi istanti.Agitò la cappa con la sinistra e si lanciò a destra. Il nemico si gettò verso la fonte del suono, trovando solo stoffa abbandonata, quindi si rese conto dell'inganno e si voltò, ma era troppo tardi. Spingendo con tutto il suo peso, Hassel affondò il chiodo nel petto dell’utrag, attraversando il cuoio e spezzando lo sterno con uno schianto secco.L’uomo si rialzò a fatica, calciò via il coltello dalla mano dell’avversario in preda agli ultimi spasmi.Hassel afferrò il nemico per il collo.“Come ci avete trovati?” ringhiò.L’utrag spalancò gli occhi neri. La bocca fetida iniziò a riempirsi di sangue scuro.“Markar negor tukan…”Respirava a fatica, ma Hassel non ebbe pietà per quell’immonda creatura.“Parla, rigurgito di Utragnar!”“Ormai è tutto pronto.” Gorgogliò l’Utrag “I piani del Nemico stanno per diventare realtà. Non sarai certo tu a bloccarli.”Il mostro si guardò intorno, quindi puntò le voragini nere che aveva per occhi sul volto di Hassel.“La tua morte sarà tremenda” biascicò “come lo sarà fine del tuo mondo.”Con un rantolo spirò, un sorriso cadaverico stampato sul volto.Hassel lasciò cadere il chiodo e crollò in ginocchio. Accarezzò i capelli corvini della figlia e la prese tra le braccia, come se tenersela vicino al cuore avesse potuto restituirle la vita.La strinse al petto con tutte le energie che i suoi anni potevano ancora concedergli e, avvolto nel chiarore lunare, scoppiò in lacrime.
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