36) Racconto: The others children

Da Angivisal84

The others children di Annalisa Caravante Creatura: Alieni
Dopo la guerra contro gli alieni c‘era solo desolazione, cenere e detriti; qualsiasi cosa toccavamo si sgretolava come un castello di sabbia. Il cielo era ormai diventato giallo come anche la polvere che cadeva dalle nuvole e che ricopriva ogni cosa e ogni oggetto o corpo senza vita che incontravamo lungo la strada. Il 75% della Terra da anni era ormai desertico e non coltivabile e le città non esistevano più, c’erano solo piccoli paesi scarsamente abitati e pessimamente gestiti dalla Federazione. Dicevo sempre a mio fratello che un giorno avremmo salvato la Terra riportandola allo splendore di un tempo; lui, come al suo solito, mi guardava di sbieco e sorridendo ironico con quel suo sguardo severo e freddo, mi rispondeva:- Non ce lo lasceranno mai fare!Odiavo quella frase, ma non potevo negare che era la verità: nessuno ci avrebbe aiutato a risollevare le sorti del nostro pianeta perché noi eravamo gli “others”. Eravamo malvisti, male accolti, mal sopportati. La nostra natura era per gli uomini contaminata da malefici geni, quelli che per metà avevamo ereditato dai nostri padri, i wigs, alieni amici provenienti da un'altra galassia e dotati di poteri soprannaturali. Anche noi figli ne avevamo e la nostra corporatura era identica alla loro: alti più di due metri e molto robusti. Esteticamente, invece, somigliavamo tutti alle nostre madri terrestri. Ciò, però, non bastava a renderci simpatici al resto degli uomini; fin da bambini venivamo allontanati dalla società, evitati come una malattia e solo perché a quei tempi la parola “alieno” era sinonimo di guerre e distruzioni. Mio fratello Ankel, più giovane di me di dieci anni, non aveva mai sopportato quella situazione, non riusciva a capire perché ci trattassero in quel modo, sebbene non avessimo mai fatto nulla contro gli uomini. Lui odiava tutti, soprattutto le donne, e così tanto che se vedeva qualcuno in difficoltà non lo aiutava. Io ritengo che parte di quel risentimento stava anche nel fatto che molte umane lo avevano illuso facendogli credere di amarlo, mentre invece, avevano solo puntato a qualche notte con lui. Ammetto, stare con una donna solo per sesso a me andava più che bene, ma Ankel, ed io lo sapevo bene, era un romanticone, di quelli che cercano l’amore eterno, solo che lo nascondeva al quanto bene. Ecco perché quando riuscimmo ad ottenere il controllo del nostro piccolo paese di campagna, salvandolo da un attacco alieno e cacciando via quell’inetto del sindaco, Ankel si autonominò reggente della comunità e mise delle leggi così dure che anche io che sono il fratello lo avrei sbattuto con la testa nel muro. In quel modo si attirava ancora di più l’odio della gente. Allora: non si poteva parlare ad alta voce in strada, non si poteva uscire prima delle sette, si doveva rientrare a casa non più tardi delle venti, tutti, compreso le donne, erano costretti a lavorare otto ore al giorno e a nessuno era concesso lasciare il paese. Noi altri others, una ventina in tutto, dovevamo fare da sentinella, vestiti come Ankel, con una specie di tuta aderente e nera con su un mantello dello stesso colore. Si, erano le divise dei nostri padri che ci rendevano ancora più forti e isolati dalla temperatura esterna, ma io le odiavo! Bello come il sole e odiato più di qualsiasi altra persona al mondo, mio fratello faceva il cattivo e il bel tempo e se ne andava in giro a controllare chi rispettasse le leggi e quando beccava qualcuno in un atteggiamento poco corretto, non perdeva tempo a chiuderlo in cella per una notte intera. . . .Ankel stava in un ufficio del municipio insieme ad altri nostri simili e con loro vagliava le richieste giunte dal prete della nostra unica parrocchia. Come al solito non lo vedevo intenzionato ad accontentare l‘uomo, ma Sunny, un nostro cugino, che noi prendevamo in giro perché era alto appena un metro e novanta, cercava instancabilmente di fargli accettare almeno una delle richieste. Io me ne stavo seduto dietro ad una scrivania, a mangiare una mela, tranquillo tranquillo, ad osservare gli altri lavorare, quando mio fratello, da ricordare che io avevo 35 anni e lui 25, mi si avvicinò e mi chiese:- Hai intenzione di fare qualcosa oggi?- Perché? Voi siete così bravi che non avete bisogno di me! - risposi sorridendo.- Ed io potrei arrabbiarmi così tanto che tu potresti aver bisogno di un chirurgo plastico. - Divertente, spiritoso, ora vai a lavorare!- Ci picchiamo?- Sei mio fratello!- Anche tu lo sei.Gli volevo bene, veramente, e con tutto il cuore, ma lo avrei picchiato volentieri. Lui, continuando a fissarmi, mise di colpo e con forza le mani sulla scrivania ed esclamò:- Ora, o ti alzi da quella poltrona o ti faccio volare dalla finestra. - Sai benissimo che atterro senza problemi.- Potrei essere anche più duro, ma ti voglio lasciare intatto perché potresti ancora servire per lavorare in miniera.Sorrisi per fare il gradasso, anche perché le vene delle sue tempie si erano ingrossate e quello non era un buon segno, ma qualcosa venne in mio soccorso. Ad un tratto dalla finestra che dava sulla vecchia piazza del paese, si sentì distintamente una donna parlare ad alta voce, molto ad alta voce, e noi tutti ci guardammo immaginando già la reazione di Ankel. Lui, infatti, si drizzo nelle spalle, voltò leggermente la testa verso la finestra ed accigliò lo sguardo. Con passo pesante e lasciando svolazzare il mantello, si avviò all’uscita dell’edificio seguito da Sunny. Appena fu fuori, si fermò sui gradini del municipio e restò con lo sguardo fisso su una ragazza che teneva un cellulare fra le mani e parlava concitatamente. Ella indossava un abito completamente bandito dagli ordini di mio fratello, stretto e corto, ed aveva dei capelli nerissimi e lunghi. Senza badare a chi sentisse o meno, ella diceva:- Sparati! Te l’ho detto più di una volta, il lavoro non è ancora finito, sarà finito quando io ne sarò convinta. Nel frattempo arrangiati, chiaro? Mentre Sunny, senza farsi notare dal “capo”, faceva segno alla ragazza di smetterla, Ankel si avvicinò a lei, incrociò le braccia e disse:- Lo sa che dovrei arrestarla per non aver rispettato ben tre leggi del nostro paese?- Oh si, certo, però mi farebbe un gran piacere se aspettasse qualche secondo, sa, devo fare un’altra telefonata. - rispose la giovane.- Che cosa?- Una chiamata.- E crede che io le lasci fare ciò dopo aver contravvenuto alle norme che regolano la nostra comunità?- A parte il fatto che io ho l’attenuante di essere appena ritornata a casa e di non sapere che a governare il paese fosse un gruppo di maghi merlini dal nero mantello, non ho neanche paura della sua stazza, mio caro, e può dirmi quello che vuole perché io farò questa telefonata!Sunny già si portava la mano alla fronte pensando alla tremenda punizione che adesso spettava a quella povera giovane e Ankel, contrariato all’inverosimile, alzò di peso la ragazza e se la mise sulla spalla destra a pancia in giù. - Wow, che omaccio! Si vede dalla prestanza fisica che sei forte, caro other, ma non c’è bisogno di mostramelo trasportandomi come una scrofa da macello! - disse lei con una gran calma.- Disobbedienza a tre leggi, comportamento poco consone e soprattutto troppa confidenza! - replicò Ankel chiudendola in cella. La giovane, affacciandosi alla piccola fessura della porta, rispose:- Non ho diritto ad un avvocato?- No, qui decido tutto io!- Allora è te che devo graziarmi per avere dei favori?!Ankel fece un sorriso nervoso e la ragazza:- Senti, a parte gli scherzi, io ho fatto sei ore di viaggio e non, non sono… cioè…- Che cosa vuoi?- Si, ma non guardarmi così, m’intimidisci!- È il mio sguardo.- Ma dai che non lo è, rilassa il volto, sono sicura che sei un tenerone.Ankel si arrabbiò ancora di più, sbatté i pugni sulla porta facendola saltare ed esclamò:- Dimmi subito quello che ti serve prima che ti mandi a lavorare in miniera.- Devo andare in bagno. - In bagno?- Che, ti sembra così strano? Pure io vado in bagno come tutti. Mio fratello abbassò le braccia e sospirò.. . .Era il tramonto e quel sole che spariva all’orizzonte colorando tutto di rosso e lasciando credere che il nostro mondo fosse ancora sano e rigoglioso, era l’unica cosa che Ankel amava. Aspettava quel momento della giornata stando alla finestra e il suo silenzio mi diceva che pensava; chissà, forse era immerso nel ricordo di nostra madre o in quello di Mary, l’unica donna che avesse veramente amato e da cui aveva avuto la più grande delusione. Io lo so che la sua era solo rabbia per quello che aveva vissuto, ma tutti lo credevano cattivo ed io ne soffrivo. Quando anche i suoi occhi si colorarono di rosso per il sole basso, lo fissai, lui se ne accorse e girò la testa verso di me. Non disse nulla, ma poco dopo entrambi sentimmo dei rumori provenire dalle celle. Ankel mi fermò perché stavo alzandomi ed esclamò:- Vado io, sarà quella che fa casino.Mio fratello lasciò la stanza e andò da lei; la ragazza stava affacciata alla piccola finestra della porta e l’osservava mentre si avvicinava. - Cosa vuoi? - le chiese lui con lo sguardo accigliato.- Si sta facendo buio. - rispose la giovane.- E allora?- È tutta la giornata che sto qui dentro.- E allora?- Ma sai dire solo questo?- Mi dispiace, ma devi stare qui tutta la notte.- Dai che non sapevo nulla del regolamento! Per questa volta lasciami andare, sarò buona e rispettosa.- Niente da fare. Voi donne siete finte ed io ho già capito come sei fatta tu. Sei arrogante e scostumata.- Senti …io, io ho paura del buio.- Così forte e determinata ed hai paura del buio?- Eh …si!- Ti porto una lampada, va bene? Poi basta!- No, la lampada potrebbe proiettare delle ombre sulle pareti.- Hai paura del buio o delle ombre sulle pareti?- Il buio a volte fa paura anche in piena luce perché ti resta dentro, io l’ho avuto dentro per molti anni, non farlo tornare.- Ma si può sapere chi sei e perché mi parli come se ci conoscessimo da tempo? Non ti ho concesso di parlarmi con tono confidenziale. Adesso me ne vado e non ti porto neanche la lampada.Mio fratello girò le spalle diretto verso l’uscita, lei lo seguì con gli occhi e disse:- Ankel, da bambini mi aiutavi, mi passavi sempre il compito di matematica.- Cosa? - domandò lui rivoltandosi.- Non hai capito ancora chi sono?- Chi sei?- Alice.- Alice?- Quella che a scuola stava seduta dietro di te.- Alice, quella bambina con le treccine?- Si …sono io. Ankel le si avvicinò di nuovo, la fissò negli occhi e riprese:- Tu sei un’altra di quelle allora!- Come?- Mi dicesti che eravamo amici e invece non ti facesti più vedere. Adesso torni e mi tratti d’amico come la cosa più normale di questo mondo. No, tu resterai qui.- Allora avevo otto anni, morì mia madre e mi portarono via da qui perché la nonna era troppo anziana per accudirmi. Ho vissuto con gli zii, ma forse sarebbe stato meglio vivere da barbona per come mi hanno trattata. Mi sono rialzata a fatica e alla fine sono ritornata qui per ritrovare me stessa e …i cari amici. Ankel non sapeva cosa rispondere, per la prima volta una donna lo aveva colpito al cuore. - Hai veramente paura del buio? - le chiese dopo un po’.- Si, ma delle ombre sulle pareti ancora di più, lasciami andare a casa. Mio fratello prese la chiave, aprì la porta e i due si trovarono faccia a faccia, sebbene lui la superasse di parecchio. Alice lo guardò senza dire nulla.- E se invece ci facessimo compagnia l’un l’altro stanotte? - domandò Ankel.- Faresti compagnia a me che sono un’umana?Lui le sorrise, notò sul suo viso una cicatrice e le mise la mano sinistra sulla guancia; una lieve carezza e tutto sparì.Gli occhi di Alice continuavano a fissarlo e Ankel chiese:- E tu non hai paura di trascorre la notte con un mezzo stregone?- Io non ho paura di te. La notte scese giù senza buio perché in cielo splendeva una magica e candida luna.

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