Non riprenderò la scarna recensione lasciata sul social network dei lettori, un po' confusa e fatta troppo a caldo. Proverò però a dire cosa non va nella (mastodontica) opera di Stephen King, una storia che avrebbe voluto scrivere nel 1972 e che ha dovuto aspettare altri trent'anni prima di vedere luce in libreria. L'inizio è eccellente e un po' sorprende, considerando che spesso King, nelle sue opere più lunghe, tende ad essere particolarmente descrittivo (e falsamente dispersivo) in avvio, mentre qui mette subito la quinta e spinge sul gas. Il tema è quello dei viaggi nel tempo, ma il modo studiato, inspiegabile e fantascientifico, è affascinante e convincente. Poi c'è il finale. Un po' tirato per i capelli, un catastrofismo sintetizzato in poche pagine per chiudere un cerchio, per dare fiato ad un mattone che per lunghi tratti, senza mai perdere il filo, ha però rischiato di perdersi nel nulla.
Sì, perché se qualcuno non lo avesse capito dal titolo (o dalla copertina), il protagonista del libro torna nel passato per fermare Lee Harvey Oswald quel 22 novembre del 1963 a Dallas. Fermare lui e salvare JFK, il presidente. Ecco, detto questo qualcuno dovrebbe già annusare il rischio di suicidio narrativo. Non si parla di un solo evento, ma di un libro che mischia la favolosa storia d'amore del protagonista con la sua bella scovata nel passato (tale Sadie, gnoccolona da calendario ideata da King per gli anni 50) e le imprese dello stesso Jake-George (nome del presente e del passato) da segugio di Oswald. Da un lato una storia d'amore per un paese e per una donna, a volte troppo melensa e con poche emozioni in grado di arrivare davvero dritte al lettore seppur scorrevole e con qualche buona intuizione anni 50. Dall'altro una spy story che non può mai forzare la mano perché porterebbe King a dover ridisegnare un personaggio realmente esistito e ad entrare in un terreno che nessuno conosce (Oswald fu assassinato da Jack Ruby senza aver mai rilasciato alcuna dichiarazione) per cercare di far reggere il gioco. Non osando tanto King si spegne per lunghi tratti, non riesce ad animare davvero le pagine, non le rende credibili. Se il pronti-via è eccellente ed è molto in stile King (con la sua Derry, la culla del male, e immensi riferimenti ad It) con i tempi giusti, la suspence, le continue frasi ironiche che spezzano la tensione, il resto del libro è uno scrigno dal quale lo scrittore fatica ad uscire.
In due parole il libro è troppo lungo. Oswald serve per dare spessore ad una storia che vuole parlare di altro. Di amore certamente, di conflitti, forse. Di generazioni e di cambiamenti. Oswald e JFK sono il contorno che serve a dare spessore ma diventano il vicolo cieco dentro il quale si infila King. Meno pagine, accelerare certi ritmi nella vita del protagonista e limitarsi all'omicidio del presidente come scopo unico e senza troppi fronzoli avrebbero alleggerito il romanzo che, al contrario di altri, penso si chiuda molto bene (e con molto miele), nell'epilogo girato nel 2012. Il tema che esalta di più è l'amore e, proprio a rafforzare il mio pensiero precedente, a un certo punto è proprio King che sottolinea che "la brevità è la chiave della dolcezza, no?"
In queste ultime righe la passione e l'amore sfondano finalmente le pagine del libro e ci dicono molto di più di questo strano sentimento di quanto non facciano le centinaia di pagine precedenti. E' un 4 stelle di stima. Per It, per Derry, per l'avvio e per quella chiusura, che non sarà un capolavoro, che sarà la degna fine di un romanzone con tanto amore ma che mi convince ancora una volta che, appena la mano di King è un po' libera, riesce a colpire nel segno. E' un 4 di stima perché, comunque la si voglia vedere, l'opera parte da una base geniale e, una volta entrati nella "buca del coniglio", vi sarà difficile non andare a caccia finché non saprete come tutto va a finire.
C'è un ultimo passaggio che mi porta alle 4 stelle. E' una zona sottile, non così frequente nei libri di King, una zona che lo stesso Wu Ming 1 (traduttore del libro) non ha esitato a definire filosofica. E' un aspetto che rimane sul confine per tutte le 761 pagine del libro, che non emerge pienamente ma è costantemente sussurrato dall'autore. La condizione del tempo, dei cambiamenti, la linearità della vita, il destino. Sarebbe il pezzo più interessante e, certamente, un vero gioco di prestigio di King. Purtroppo, benché si bacchetti lì sopra molto spesso, tutto rimane troppo ovattato. Per lasciare fantasia al lettore che, forse, vorrebbe qualche ballo anni 50 in meno e qualche spunto come questi in più.