40 anni dopo il golpe: il Cile si interroga sulle responsabilità individuali. I discorsi di Piñera e Bachelet

Da Rottasudovest
Alla vigilia dell'11 settembre, il Cile ha commemorato il 40° anniversario del colpo di Stato di Augusto Pinochet contro il presidente Salvador Allende. Lo ha fatto diviso, come si sapeva da settimane, senza una manifestazione unitaria. Nueva Mayoria, la coalizione di centro-sinistra, che per la prima volta include anche il Partito Comunista, ha ricordato il golpe al Museo de la Memoria, in una manifestazione guidata da Michelle Bachelet, l'ex presidente che torna a candidarsi alla guida del Paese. Il Presidente della Repubblica Sebastián Piñera lo ha fatto da La Moneda, la sede della Presidenza della Repubblica da cui Salvador Allende lanciò il suo ultimo discorso, carico di speranza, nonostante tutto, prima dei bombardamenti dell'Aviazione in rivolta.  40 anni non sono passati invano. Il Paese continua a essere diviso nell'interpretazione di quegli anni, ma è iniziato un processo di auto-analisi,  che sta iniziando a dare risultati interessanti. Il più importante è il senso della responsabilità individuale davanti alla violenza del golpe. Fermo restando che il rispetto dei diritti umani, in qualunque circostanza, sembra essere diventato patrimonio comune, conquistato sia dalla sinistra che dalla destra democratiche, in questi anni di democrazia, la società ha iniziato finalmente a chiedersi quanto ci sia di responsabilità individuale nel successo del golpe e nell'imposizione della dittatura. Recentemente il presidente Piñera si è interrogato sulle responsabilità dei media, che raccontavano solo la verità ufficiale, nascondendo torture, desaparecidos e dolore; qualche giorno fa l'Associazione dei Magistrati ha chiesto scusa, perché non ha saputo imporre il rispetto dei diritti umani, nelle sue sentenze dopo il golpe, e ha preferito guardare dall'altra parte nei processi.  Ieri, nel suo discorso di conservatore moderato, è stato il presidente Piñera a chiedersi se tutti hanno fatto il possibile per evitare tanto dolore e tanta violenza. "Molti di noi, che avrebbero potuto fare molto di più in difesa dei Diritti umani, hanno una quota di responsabilità. Sono sicuro che se tornassimo indietro, l'immensa maggioranza degli attori si comporterebbe molto meglio che prima, durante e dopo l'11 settembre 1973" ha detto "per questo è giusto e necessario riconoscere e distaccare il comportamento valoroso di tante persone e istituzioni, che alzarono la loro voce in difesa dei Diritti Umani".  Tutto il discorso di Piñera può essere considerato esemplare per qualunque leader politico di centro-destra, che deve ricordare i danni e il dolore provocati da una dittatura fascista. Se in altri Paesi, Spagna in primis, la tentazione di dimenticare e di non rendere giustizia alle vittime, è forte, nel Cile è lo stesso centro-destra a voler ricordare. "Perché ricordare?" si è chiesto il presidente "Per rivivere le stesse differenze che hanno causato tanto danno o per apprendere da questi errori del passato, in modo da non ripeterli mai più? Questo è senza dubbio il miglior cammino, è anche quello che vuole l'immensa maggioranza dei cileni ed è il cammino in cui questo Governo si è impegnato". Per cui, anche se "non esistono soluzioni che possano riparare tutto il dolore e il danno e non possiamo disgraziatamente risuscitare i morti o recuperare i desaparecidos, dobbiamo sì fare tutto quello che è in nostro potere, per avanzare verso la verità e la riconciliazione. L'11 settembre 1973 un violento colpo di Stato ha messo fine all'unità popolare e ha iniziato 17 anni di regime militare. Ma non fu una cosa improvvisa e sorprendente, quanto il risultato prevedibile, ma non per questo inevitabile, di un'agonia di valori della società cilena".  Piñera, come la candidata del centro-destra Evelyn Matthei, ha sottolineato che "fenomeni come la tortura o la sparizione forzosa, mai, mai possono essere giustificati senza cadere in un grave vuoto morale. Il fine non giustifica mai i mezzi". Un'ora prima del presidente, al Museo de la Memoria, ha parlato Michelle Bachelet, alla presenza degli ex Presidenti della Repubblica Ricardo Lagos ed Eduardo Frei, anche loro leaders del centro-sinistra cileno. Il suo discorso ha chiesto verità e giustizia: "La verità perché abbiamo bisogno di sapere cosa è successo alle vittime", e "la giustizia, perché lì dove si nega, affiora l'impunità". La candidata di Nueva Mayoria ha anche fatto un paragone tra il Cile di Allende e il Cile contemporaneo: in entrambi saliva dalle masse popolari una richiesta di maggiore democrazia partecipativa, di maggiore giustizia. 40 anni fa "le nostre istituzioni esistevano per rispondere alle richieste di una minoranza, cittadina e urbana, proveniente dalle classi alte", per cui il Cile "non seppe soppesare il gigantesco cambio che significava passare da una democrazia ridotta a una genuinamente di massa". Oggi, dalla società arrivano le stesse richieste di maggiore partecipazione nelle decisioni politiche, basti pensare ai movimenti popolari che hanno agitato le strade cilene negli ultimi anni, dai cortei studenteschi e operai alle manifestazioni dei mapuche, "o la democrazia si assume in un permanente processo di espansione o i fatti finiranno con il superarla. Oggi viviamo un momento in cui si chiede alla nostra democrazia di ampliarsi e adattarsi ai tempi. Per questi cittadini votare ogni quattro anni e dopo aspettare i risultati del governo in carica, è insufficiente". Per questo Bachelet ha parlato di strumenti come referendum o plebisciti, per rispondere alle richieste di partecipazione dei cittadini, e ha chiesto le riforme delle norme costituzionali che sono "scogli contro la volontà sovrana del popolo".

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