Nuvole livide correvano nel cielo, oscurando la dolce luce di primavera. Matthew alzò gli occhi, specchio di uno stato d'animo stravolto. Si era allontanato da casa un’ora prima, in seguito a una pesante discussione con la madre, reduce insoddisfatta del colloquio di metà secondo quadrimestre.
Il ragazzino, quattordici anni, capelli crespi e neri, pelle ambrata punteggiata da qualche brufolo incipiente, sguardo d’Oriente in cui si scioglievano le fantasie di un adolescente ancora infante, si asciugò una lacrima, sfuggita dalla rete dell’orgoglio. Le parole della mamma lo avevano punto al cuore, destando la coscienza sommersa dalle fantasticherie di piccolo artista ribelle.Era diventato davvero un pessimo studente, e tutto a causa dei tremori procurati dal sorriso di Susy,la compagna di classe che con un’occhiata d’angelo aveva messo in crisi tutte le idee che aveva sulle ragazze. Susy non era come le altre. Era più che speciale, anzi, come diceva lui, era ultra-speciale. Anche se adorava spolverarsi il viso con il fard e indossare jeans che mettevano in evidenza la linea perfetta e slanciata, aveva hobby alquanto insoliti, quali le letture di testi dedicati al folklore anglo-sassone, la musica celtica e la collezione di bambole di porcellana gotiche d’importazione giapponese, doni di uno zio agente di viaggio. La fatina dai capelli ramati lo aveva attirato nel suo cerchio magico, dandogli l’ispirazione per alcune canzoni che aveva composto nei pomeriggi in cui la fantasia prendeva il sopravvento sulla buona volontà dell’ex studente modello. La buona memoria che gli consentiva di apprendere rapidamente qualsiasi nozione, garantendogli la sufficienza in tutte le materie con il minimo sforzo, aveva fatto cilecca con matematica e latino, materie odiate fin dal primo giorno di scuola. Senza contare che non aveva tempo da sprecare su cose che non riteneva importanti, tanto quanto lo erano gli spartiti, la chitarra e la sua Susy. Era di ben altro avviso la madre che, infuriata, gli aveva ingiunto di lasciar perdere la musica, per migliorare il rendimento scolastico.“Devi smetterla di sognare e di frequentare quella Susy, che ti riempie la testa di sciocchezze. La scuola viene prima di tutto e voglio che tu ti dia da fare. Ho anche contattato un insegnante che ti darà lezioni di matematica e latino”. “Ma mamma, non mi puoi obbligare a smettere di sognare” ribatté, spudorato.La donna aveva reagito con energia: “Non ti permettere di parlarmi così, Matthew. La vita non è solo sogni, anzi, d’ora in poi, finché non mi avrai dato un cenno di miglioramento, non andrai più a casa di Susy”.Fu come una botta alla testa e al cuore. Mamma poteva dirgli tutto, ma non poteva costringerlo a mettere sottochiave le immagini che sgorgavano, inarrestabili, da una fonte viva e prolifica, né poteva imbrigliare i sentimenti che agivano sul cuore innamorato. Il ragazzino non ce la fece più: presa la porta di casa, attraversato il viale ghiaiato, scavalcato il cancello, ignorando i richiami della donna, si diresse a capofitto verso la campagna, in cui centinaia di corolle esplodevano insieme, in una sinfonia di colori e profumi.
Ad accoglierlo,in lontananza, anche il maltempo incombente, scortato da un vento che recava uno stridio per nulla insolito.Matthew lo aveva già udito, anni prima, provenire dal suo armadio. Ogni notte, quando gli occhi si facevano pesanti, iniziava ad avvertire strani rumori, che proseguivano nel sonno. In piena fase onirica, udiva aprirsi lentamente l’anta, rivelando una presenza che, a passi strascicati, si avvicinava al letto. A scuotere il piccolo Matt, era lo stesso stridio violento, come di denti di metallo premuti gli uni contro gli altri a pochi centimetri dal suo orecchio. A quel punto, lui si sollevava sul busto, facendo leva sui gomiti e con voce tremante chiamava la mamma, che si precipitava nella cameretta, dove la luce diffusa dal lampadario le mostrava l’ordine in cui aveva lasciato ogni cosa. La donna accarezzava il figlio, sconvolto da quello che lei considerava solo un brutto sogno ricorrente, tipico dell’infanzia timorosa dell’uomo nero e di altre creature che gli adulti definivano fandonie.Quella scena si era ripetuta per due anni, ogni due settimane, finché non ci fu la svolta.
In una sera d’estate, prima di addormentarsi, Matthew aveva riletto la fiaba di Pollicino, che con coraggio e astuzia aveva affrontato prove ben più grandi di lui. Sulla scia dell’esempio dell'audace, piccolo eroe, nel momento in cui aveva avvertito la solita minaccia fuori dall’armadio, aveva spalancato gli occhi, pronto ad affrontare il nemico. Proprio mentre un sottile spostamento d'aria lo avvisava che qualcosa era prossimo al suo viso, il piccolo Matt, con una mano accendeva la luce, mentre con l'altra respingeva la minaccia -qualcosa di metallo che non era riuscito a definire- balzando rapidamente fuori dalle lenzuola. Volse lo sguardo al tappeto dove ipoteticamente giaceva il nemico, contro cui si sarebbe scagliato con l'audacia di un impavido combattente. Rimase deluso quando, al posto di un mostro, immaginato per settimane e disegnato su un album, trovò un portachiavi, da cui pendeva un ciondolo a forma di uncino. Non ricordava di avere oggetti di quel tipo tra i giocattoli e i gingilli che aveva ammassato nel baule posto accanto alla finestra, ma da quel giorno, l’aveva conservato, portandolo sempre con sé.Matthew estrasse il portachiavi dalla tasca. Lo osservò, mentre un tuono esplodeva nel cielo cupo. Il ragazzo si guardò intorno, in cerca di un rifugio che l'aperta campagna sembrava non garantirgli. Scartò diverse opzioni, mentre la pioggia iniziava a tamburellare sulla testa crespa e l'ingresso della tana di una talpa si rialzava alle sue spalle, assumendo rapidamente la forma dell'imboccatura di una grotta. Matthew non si accorse subito del prodigio. Soltanto uno stridere di denti, simile a quello che aveva sentito in precedenza e anni prima, lo indusse a volgersi indietro. Dalla bocca cavernosa si sporse un naso lungo e aguzzo, attaccato a un volto terribile. Due occhi di ghiaccio, privi di ciglia e sormontati da cisposi archi, argentati come i capelli dritti e lucidi, erano spalancati, insieme alla bocca che rivelava denti da squalo, immacolati. L'incarnato era della stessa tinta delle nubi cariche di tempesta ed elettricità, raggrumante in strati spessi sopra il paesaggio. Il collo era avvolto in una gorgiera, bianca come i polsini che ne richiamavano il motivo increspato. Il corpo, esile e slanciato, era avvolto in una tunica di seta operata cilestrina.Per una ragione inspiegabile, Matthew non aveva paura di quella creatura spuntata dai recessi della Terra per dargli un rifugio, in cambio di qualcosa di cui ella non fece esplicita richiesta. Da un semplice gesto il ragazzino capì quello che avrebbe dovuto fare.Sfilò dal doppio anello del portachiavi l’uncino e lo posò al polso, mancante della mano, proteso verso di lui. L'oggetto assunse le stesse dimensioni di quello in cui culminava l'altro braccio.La creatura osservò soddisfatta l'estremità perduta, quindi si accinse a parlare,con glaciale solennità."Black Annis ti ringrazia per aver conservato la sua mano, amputata dal gesto dell’unico bambino che abbia mai avuto il coraggio di affrontarla. Quel bambino ormai sta diventando grande, né Black Annis potrà più rapirlo, malgrado la purezza delle immagini che sgorgano dalla fonte della sua appetitosa fantasia".Matthew fece per parlare, ma la creatura lo anticipò."Non farle domande, poiché la strega cannibale, che si annuncia facendo stridere i denti aguzzi, ha già in serbo per te le risposte che cerchi".Mentre il temporale infuriava, il ragazzino, protetto dal rifugio di terra, scoprì le verità nascoste della temibile creatura, cui, grazie ai libri di Susy, aveva attribuito la colpa dei due anni passati nella paura. "Caro Matthew, come hai ben appreso, Black Annis è sì originaria di Dane Hills, dove risiede la maggior parte del suo tempo, ma è al contempo una vagabonda che, attraverso varchi spaziali, riesce a raggiungere i posti più impensati, in particolare le stanze dei bimbi di cui si nutre. Vero è, come ho appena detto, e come le leggende dicono, che si nutre di fanciulli. Ma nulla è al caso e la strega ha delle esigenze precise, poiché solo di fanciulli fantasiosi si nutre. Il profumo della loro anima la attira, conducendola in ogni luogo possibile e immaginabile. Purtroppo, non sempre riesce a portare a effetto la sua intenzione, poiché le mamme, nei tempi antichi creando protezioni a base di erbe portentose, in tempi recenti, piombando nella stanza e accendendo fastidiose luci colorate, la costringono alla fuga indegna". "Non sai" proseguì, mantenendo l’espressione fissa davanti a sé "quanta attrazione hai sempre esercitato su di lei, piccolo mortale, appassionato di musica e magia. Ma maledetto fu quel Pollicino e le letture e i film su eroi, che ti hanno dato il coraggio per sconfiggere la strega cannibale,almeno temporaneamente, privandola dell'uncino con cui trafigge il pasto designato. Black Annis, infastidita dalla luce che l’ha accecata e dalla reazione violenta e inaspettata, è diventata vittima e in parte schiava di un piccolo mortale, poiché l'assenza di una delle mani è assenza di parte di sé" l'essere allargò le labbra in un sorriso, che tuttavia, non addolcì il volto "Ora questa creatura, che si è sdebitata offrendoti un rifugio nella sua stanza pregiata, ti ringrazia e promette, che mai sfiorerà i due figlioli di cui sarai padre, tra dodici anni,tre mesi e diciotto giorni".Matthew aprì la bocca per la seconda volta, e per la seconda volta, la creatura lo anticipò."La risposta è affermativa" sorrise, ancora, glaciale "Black Annis ti dice che colei che hai ora nel cuore, sarà la tua sposa. Altro non posso dirti, poiché una scia di fantasie mi sta richiamando a Dane Hills. Una bambina, la sento, una piccola scrittrice, che è capitata per errore nella mia Stanza della Crudeltà, protetta all’ingresso da un'antica quercia, come racconta, con puntualità, la leggenda. La carne della fanciulla odora di vaniglia e mi attira, lontano da qua. Addio, piccolo Matthew… Pollicino. Black Annis esprime ancora la sua ammirazione verso un vero cuore di leone".La “strega blu” sparì, l'antro si ritirò e rimpicciolì gradualmente, tornando alle dimensioni originali. L'aperta campagna lo cinse di nuovo con i colori della primavera, mentre il sole si faceva strada tra le nuvole. Di Black Annis non era rimasta una traccia, a parte l'eco dello stridio prodotto dai denti, che si spense gradualmente lontano, oltre l’orizzonte.