46. Alla gola

Creato il 29 aprile 2012 da Fabry2010

Pubblicato da fabrizio centofanti su aprile 29, 2012

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Con l’intreccio di storie che vengono a proporti rischi di confonderti le idee. Possibile che tutti ti cerchino, sicuri di risolvere il problema della vita? Pensano che lo scrittore sia una specie di demiurgo capace di mettere in comunicazione col destino. Sai benissimo che invece è un artigiano che tesse faticosamente la sua tela, tra un campanello che suona e il telefono che squilla, disturbato dal pensiero di signore che infilano domande a cui non sa rispondere e gatti in piazza che pietrificano ogni impulso vitale, come l’incubo della pagina bianca in certe notti in cui non riesci a proseguire, per la stanchezza, o perché i fili si accavallano e non ricordi più se i due si sono lasciati o stanno ancora insieme, se l’altro ha smesso di rincorrere i fantasmi: i racconti si sovrappongono e contaminano fino a formare una matassa che non sai sbrogliare. Altro che demiurgo, sei un povero Cristo incapace di portare oltre la sua croce, che invoca un cireneo qualsiasi per raccogliere i dati, prendere nota di ogni personaggio, guidarti al punto in cui avevi interrotto la vicenda,  segnalarti il momento in cui conviene introdurre un elemento nuovo, aiutarti a domare il vortice assurdo della vita, a incanalarlo nelle righe nere che scorrono come niente fosse e a qualcuno può sembrare la cosa più facile del mondo. Eppure sei abbastanza lucido da individuare un filo ben preciso, la scintilla della gelosia, il balenio degli occhi azzurri di Fofner in cui quelli di Futura si sono impigliati durante la rapina e da cui, anche in un altro luogo o un altro mondo, non sanno più staccarsi. La descrivi mentre prepara l’ennesimo colpo con i quattro terroristi disperati, compreso il padre di Mattea, evaso chissà come dal carcere di estrema sicurezza, ma è meno granitica, ogni tanto si distrae, come guardasse il cielo, il cielo vasto con due pupille nere che la fissano e le dicono Futura, dove vai, fermati un attimo, non puoi fuggire sempre e comunque da te stessa. Ti tocca scrivere che studiando le mappe dell’azione da compiere, i percorsi intricati pieni di appunti e di cancellature, in realtà sta cercando di ricongiungersi a quegli occhi, e più t’immergi nel suo nuovo desiderio più le dita s’irrigidiscono sopra la tastiera, incespicano tra una lettera e l’altra, rifiutandosi di moltiplicare come niente fosse le righe nere che al lettore paiono spontanee, e invece sono il frutto di uno sforzo sovrumano, un calvario in cui non trovi un cireneo che ti ricordi quale dei tanti personaggi debba entrare in ballo, a quale evento spetti di accadere, quale lacrima, risata, battito di cuore siano pronti a prendere il lettore alla gola, un’altra volta.


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