47. Perché?

Creato il 30 ottobre 2011 da Fabry2010

Pubblicato da fabrizio centofanti su ottobre 30, 2011

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Inutile ricordare come la Pacem in terris scatenò la guerra tra le opposte fazioni.
La porta si spalancò con un rumore sordo. Si vedeva una fila di persone, lungo la parete, uomini in divisa quasi immobili, braccia che si affacciavano alle grate.
Queste sono le ragazze della fabbrica: in posa, l’una accanto all’altra, sorridenti. Potremmo chiederci che ci sia da ridere, in quelle condizioni.
La mia intenzione era chiara, forse solo a me, venne da pensare.
Altri stavano al piano superiore, appollaiati come uccelli in gabbia – e poi dicono che l’uomo sia fatto per volare. Guardavano in basso: cosa si aspettavano? E tu, cosa ti aspetti dalla vita?
Eccole alle macchine, attente a non sbagliare davanti alla fotocamera che le riprende: gesti precisi, regolari, una vita rinchiusa nel tirare e ruotare, nel fissare e lo stringere.
Come sempre, le critiche arrivarono da destra e da sinistra: è un gioco che impari giorno dopo giorno, col cruccio di chi deve fronteggiare sempre il pregiudizio.
Battono le mani, come se per muoverle occorresse l’energia di un titano: ci vuole fegato a fare ancora festa dopo che ti hanno gettato a marcire nello scatolone.
Gli operai hanno le stesse braccia, la concentrazione dell’atto che costruisce il mondo, l’umiltà di chi non chiede altro.
Scrissi di giustizia, di distribuzione equa, di diritti e doveri da rispettare dall’una e l’altra parte.
Che cosa avrà pensato varcando la soglia dell’inferno? Si sentivano voci, uno strepito diffuso di cui era impossibile decifrare l’alfabeto, le note laceranti del dolore, della rabbia.
Le facce hanno la stessa espressione sofferente, la coscienza delle ore snocciolate come rosari inascoltati, una preghiera capace solo di riempire la pancia del padrone.
Da destra, la solita accusa di fiancheggiatore comunista, un’apertura folle, sostenevano, lo sdoganamento del regime dei mangiatori di bambini.
Qualcuno si toglie il berretto, altri sorridono tra loro, sotto l’occhio responsabile del secondino.
Mi commuove pensare che stiano lì pazienti, a trenta metri di profondità, coi tubi che potrebbero scoppiare da un momento all’altro – quanto vale una vita? Isaia! Vendono il povero per un paio di sandali.
Da sinistra, l’epiteto di conservatore, teso a congelare i privilegi della Chiesa, a cambiare in superficie perché nella sostanza tutto rimanga come sempre.
Che cosa passa tra una guardia e un detenuto? Che avranno in comune, benché respirino la stessa aria? Che si diranno se i loro occhi s’incrociano, anche per un attimo?
E che dire dei bambini che muoiono per gioco, un po’ alla volta, senza sapere che non sarebbe ancora il loro turno, che dovrebbero fare i capricci e litigare e ridere e rimuovere il peso del futuro?
Erano sicuro che tramassi, che volessi far cadere le barriere, da una parte e dall’altra e vedevano crollare le loro sicurezze – perché la vita dev’essere sicura, ma di sicuro non c’è solo la morte?
Che cosa si aspetta un abitante di Regina Coeli da un uomo vestito di bianco, con una mantella d’altri tempi? Che cosa può portare di nuovo il Medioevo?
Non ricordo monumenti agli operai morti sul lavoro, ma conosco i poeti, le favole, come ho detto un’altra volta, parlano sempre della verità.
Feci nascere grandi speranze e mi attirai maledizioni, la Curia mi temeva e i preti di campagna, delle periferie della città, vedevano in me un interprete insperato del vangelo di Cristo.
Che cosa attende un uomo sepolto in queste mura, magari per sempre? Come potrebbe salvarsi dal cinismo? Perché, all’improvviso, scende il silenzio, i lazzi si arrestano, le risate sguaiate si accartocciano in gola? Che cosa disse, il papa, quella volta?
Fa impressione vederli tutti insieme, un meccanismo perfetto, ognuno col suo gesto, un ingranaggio nel meccanismo che li stritola, stranieri a se stessi mentre tirano e ruotano, fissano e stringono.
Dicono che il vangelo esista ancora e si nasconda nelle pieghe della storia, dove nessuno ha il coraggio di guardare.
Perché all’improvviso i detenuti dalla facce dure abbassano il capo, piangono? Che cosa disse, il papa, quella volta?
Conosco i poeti, so che nelle favole, là dove l’uomo non ha il desiderio, o il coraggio, di guardare, proprio là si nasconde quello che ancora chiamiamo verità.
“Tu che hai oltraggiato l’uomo semplice/ ridendo sguaiato sulla sua sorte/ con intorno una corte di buffoni/ per confondere Bene e Male./ Benché tutti sian proni ai tuoi piedi/ virtuoso e saggio te proclamando,/ medaglie d’oro in tuo onore forgiando/ lieti del giorno che loro concedi,/ non ti sentire al sicuro. Il poeta ricorda./ Puoi ucciderlo, un altro è già nato./ Ogni atto e parola verrà registrato./ Meglio per te un ramo dal peso piegato/ in un’alba invernale e una corda.


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