5 Broken Cameras

Creato il 22 febbraio 2013 da Ildormiglione @ildormiglione

5 Broken Cameras” narra la storia degli abitanti di Bil’in, un villaggio della West Bank, che intraprendono una resistenza non violenta contro la costruzione del muro lungo le loro terre. Emad Burnat, uno degli abitanti, possiede una telecamera e dal 2005 inizia a fare delle riprese sulle dimostrazioni, sulla vita del villaggio e sulla sua famiglia. È anche l’anno di nascita di Gibreel, suo figlio più giovane. Le riprese proseguono fino al 2010 catturate da cinque telecamere diverse. “Ho vissuto molte esperienze, bruciano ancora nella mia testa come una fiamma ardente. Dolore e gioia, timori e speranza si mescolano insieme, ne sto perdendo traccia, le vecchie ferite non hanno tempo per guarire, verranno coperte da nuove ferite così filmo per conservare le mie memorie”. Poco dopo questo prologo fanno la loro comparsa nel documentario i bulldozer che sradicano gli ulivi e Gibreel durante i suoi primi mesi di vita. Segue Phil, tra i promotori della resistenza non violenta, “l’elefante” come è soprannominato per la speranza che sa infondere, soprattutto nei bambini. Ogni venerdì dopo la preghiera vengono organizzate manifestazioni di protesta contro l’esercito israeliano disposto a guardia del muro illegittimo. Ed è qui che conosciamo Adeeb, mentre predica alla schiera di soldati paratisi dinnanzi: “ Non avete cuore? Non avete famiglia? Tutti voi sapete che questa terra appartiene al villaggio”.  In uno di questi venerdì si conosceranno Emad e Davidi, l’altro regista del documentario, colui che darà alle riprese del primo l’attuale veste. Guy Davidi è un filmaker israeliano e un attivista, come quelli che si vedono in varie scene. “Ho conosciuto Emad dall’inizio. Era molto importante perché era l’abitante che possedeva una telecamera. C’erano centinaia di giornalisti da tutto il mondo […] ma Emad era l’unico che rimaneva lì tutta la settimana, dopo che le dimostrazioni erano finite. Così quando i soldati venivano durante la notte o facevano arresti, era l’unico a filmare”. Solo nel 2009 Emad propone a Davidi di realizzare un documentario con le sue riprese. Inizialmente l’idea è quella di incentrarlo sulle figure principali del movimento, Adeeb e Phil, soprattutto per commemorare la morte di quest’ultimo, ucciso dai soldati durante una delle manifestazioni. Davidi è scettico su questa idea: esistono già molti documentari riguardanti la protesta non violenta di Bil’in e ha timore che si cada nel linguaggio solito del vittimismo. “Allora capii che molte delle riprese, sia quelle delle dimostrazioni che le altre, potevano essere d’aiuto per il film perché ogni cosa è connessa a Emad; è il suo villaggio, e la gente ripresa sono i suoi vicini e la sua famiglia. Il momento più forte, quando ho capito che avrei accettato, è stato quando ho visto l’immagine di un uomo anziano che bloccava una jeep affinché non portassero qualcuno in prigione. Emad mi disse che era suo padre, che stava impedendo alla jeep di arrestare suo fratello. Menzionare una vicenda personale non gli creava disagio perché tutto è così personale che niente alla fine lo è davvero. Questo fu un punto di partenza”.  È allora che Davidi prospetta ad Emad di diventare il protagonista del documentario, unendo le riprese delle dimostrazioni non violente a quelle più private, della sua famiglia e del villaggio. Nonostante le iniziali opposizioni, Emad accetta e  dalle loro conversazioni vedrà la luce l’editing del documentario, le parole della voce fuori campo che accompagna tutte le riprese. Il documentario è di una sconcertante umanità: accanto alla rabbia per le violenze gratuite e per la strafottenza dei soldati, partecipiamo alla vita di Emad e alla crescita di Gibreel. Nonostante le morti, anche degli attivisti israeliani, gli ulivi incendiati, i raid notturni, ogni volta il villaggio rinasce, sempre con nuove azioni e idee, sempre con una forza maggiore. La lotta di Bil’in trova una vittoria seppur parziale: l’avanzata dell’insediamento israeliano viene giudicata illegale dal tribunale e quella forma di resistenza diventa il modello per i villaggi vicini. Il documentario è stato criticato perché ha una visone unilaterale e perché raramente si esce da Bil’in per farsi un’idea più precisa degli occupanti israeliani e dei soldati. E in effetti il punto di vista della narrazione è quello di Emad e del suo villaggio e questo è dichiarato onestamente. Le cinque telecamere che Emad dispone una accanto all’altra all’inizio del film sono i mezzi con cui ha raccontato la sua storia, cadute per la maggior parte sul campo di battaglia: colpite dai proiettili o fracassate durante le manifestazioni.  Esse talvolta gli hanno assicurato protezione, talvolta sono state causa di attacchi. “Di fatto avere un contesto più ampio è impossibile perché […] ci sono diversi contesti ampi e trattarne solo uno diventa molto più paradossale perché si sta tentando di creare un’obiettività che non si può mai rappresentare. Questo è il risultato della separazione. Separazione significa che i Palestinesi fanno esperienza degli Israeliani solo come soldati con le maschere e i fucili”, spiega Davidi in un’intervista. L’unica volta che Emad si troverà tra gli occupanti israeliani è quando riceverà le cure mediche a causa di un gravissimo incidente, in quella occasione denuncia l’ipocrisia dei politici palestinesi, che offrono assistenza medica solo per motivi legati alla lotta antisraeliana. L’intenzione dei due registi è quella di far provare allo spettatore i sentimenti che hanno i Palestinesi, quando vengono privati della loro terra, di una quotidianità e della serenità, sentimenti di rabbia e odio ma mai cechi, sempre incanalati nell’azione non violenta e tenace. Il documentario si chiude a Tel Aviv, dove Emad va per proseguire le sue cure mediche, e porta con sé Gibreel e suo fratello e Taki-Ydin, al mare. I due bimbi giocano eccitati con le onde. “Guarire è una sfida nella vita. È il solo dovere della vittima. Guarendo si può resistere all’oppressione”. La fine del documentario non è la fine della lotta: Emad continua a filmare con la sua sesta telecamera, il villaggio continua a manifestare contro la costruzione di un nuovo muro e chissà che cosa sceglierà Gibreel per il suo futuro.

Voto 9/10



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