da qui
Da questa prospettiva si vede tutta la città: le mura chiazzate come un formaggio andato a male, le case ammucchiate le une sulle altre come frammenti di un grande minestrone, la bottiglia di vino del campanile bianco, il gelato al limone della moschea di Omar.
- E’ la prima volta che leggo qualcosa dal quaderno, una frase colta per caso, mi si è inchiodata nella mente.
- Quale?
- Date loro voi stessi da mangiare.
- Che vorrà dire?
L’uomo è davanti al carro armato, con una pietra in mano; non si sa chi lancerà per primo: se lui con la forza del braccio, o il soldato col volume di fuoco della tecnologia più raffinata.
- Ricordo quando eravamo in cinquemila, nella valle, e mancava il pane, e la gente era affamata. Shime’on, Yaacov e gli altri amici ansiosi per la situazione, e lui se ne uscì con questa frase.
Il militare punta il mitra contro tre persone: un uomo, una donna e il figlioletto, che grida col berretto rosso e blu calato sopra gli occhi.
- Parla sempre di dare, condividere: utopie, in un posto dove si cerca di strappare o di difendere.
La testa della bambina è rimasta tra i sassi della strada, gli occhi chiusi e la bocca insanguinata; dove sarà finito il corpo?
- Gli ho chiesto: Yeochoua, perché scrivi questi appunti? Mi ha detto che un giorno serviranno, quando lui non ci sarà.
I poliziotti stringono il ragazzo con il velo blu, che urla e si divincola.
- Pensa di morire presto?
- E’ sicuro di dare fastidio, che si stia organizzando un attentato.
La vecchietta, in mezzo alle macerie, trascina un materasso sulle spalle.
- Difendiamolo, Myriam, suggeriamogli di fuggire all’estero.
- Gliel’ho detto, Chochana; sai cos’ha risposto?
- Posso immaginarlo.
- Mi ha fatto rileggere la frase a voce alta. Non mi usciva un fiato, una parola. Poi ce l’ho fatta, ma scoppiando a piangere: date loro voi stessi da mangiare. Mio figlio morirà, e io non so che fare.