Pubblicato da fabrizio centofanti su novembre 7, 2011
da qui
Una serie di eventi dimostrò come la prospettiva cambia tutto.
In certe situazioni si comprende come le beatitudini evangeliche siano collegate strettamente.
Il Time mi nominò uomo dell’anno, la considerai una soddisfazione personale e un riconoscimento all’organizzazione.
Come, per esempio, gli operatori di pace coincidano coi perseguitati.
Ma la presentazione della storia era imbottita di riserve sulle mie capacità,.
I miti con gli afflitti, i puri di cuore con i poveri, gli affamati e gli assetati.
In sostanza, il mio successo sarebbe stato possibile solo per l’abilità nelle questioni diplomatiche, per la capacità di muovere i pezzi giusti al momento più opportuno.
La lotta dura per i diritti umani, un credo onorato fino in fondo, i sacrifici e i rischi di una vita sempre al limite: tutto nel secchio. Denigrare è lo sport più praticato.
La misura fu colma quando mi assegnarono il Nobel per la pace. Provai una felicità speciale, sentii di raggiungere un traguardo per il quale avevo dato le energie migliori.
Ci sono vite esposte, personaggi che non hanno nulla di privato, in carcere oppure imprigionati in una rete di controlli che intercettano ogni parola, ogni respiro.
L’annuncio scatenò il finimondo: potete immaginare la reazione dei razzisti o dei movimenti radicali, che vedevano in me il fantoccio comico dei bianchi.
Chi lotta per la pace, prima o poi viene isolato. Ti ritrovi con gli occhi puntati oltre le sbarre, il riflesso della libertà ha una luce strana: vi distingui un sentimento che potremmo chiamare nostalgia.
Dissero che era una vergogna, che il movimento era un covo di comunisti e di straccioni.
Le dita aggrappate alla finestra sono bacche di guaiava rossa, fiori di mioporo, polpa rotonda di sapodilla arborea.
Il Sud si ribellò con la violenza cieca di parole che parevano proiettili e presto lo sarebbero stati per davvero.
Dietro le grate, il mondo è una partita a scacchi dove non fai la prima mossa e neanche l’ultima. Ti manca il pezzo del cavallo, capace di saltare oltre il muretto, di aggirare i secondini, di spiccare il volo oltre i cocci di bottiglia.
Spiegai che il premio non era per me, ma per coloro che si erano giocati la vita in strategie pericolose, col rischio di essere mangiati dalla torre o dall’alfiere, persino dal passo lento e cadenzato del pedone.
Ti chiedi perché le mosche e le zanzare possano entrare e uscire e tu sei lì, che sogni di diventare glicine di maggio, gelsomino azzurro, caprifoglio in cerca di sole, rampicante che si getta nel vuoto per vocazione antica a una libertà incondizionata.
Nè mancarono le insinuazioni sul mio comportamento, i ricatti sulla vita privata, sulle donne frequentate per allentare la tensione di ogni giorno, ogni ora, ogni minuto.
Ti sembra di vedere il mare, all’orizzonte, lo specchio opaco che riflette i desideri più profondi, un giardino incantato dai cui sbocciano ricordi come ortensie, gladioli, crisantemi.
Mi odiava persino il capo del Federal bureau of investigation, che insultò e minacciò, come mancassero grani al rosario dell’angoscia.
La montagna, sullo sfondo, è avvolta in una nuvola bianca: forse è Gesù che proclama la sua felicità farneticante, una pace improbabile che, quando meno te lo aspetti, dà senso a tutto il resto.