da qui
La stanza è troppo scarna, il letto le pare di quelli che si estraggono da un cassetto o da un divano; la scrivania è una lastra in legno compensato, cui è addossata una sedia a macchie bianche e nere; una tendina rossa si aggrappa al tubolare e scorre fino alla TV, appollaiata su un trespolo gialliccio. Ma dove mi ha portata? Ismail le accarezza la schiena, la immagina cosparsa di sabbia, può sentire il rumore delle onde che sbattono sul bagnasciuga a intervalli regolari. Chissà che disagio per lei, abituata ai cinquestelle. Davanti agli occhi un quadro astratto, un albero rosso campeggia contro un cielo a strisce azzurre e bianche.
- Pensiamo la stessa cosa, ci scommetto.
- Lo so che ci indovini, come fai?
- Ho gli occhi che penetrano dentro.
- Non solo quelli.
L’uomo scoppia a ridere: la figura appesa al muro potrebbe essere una tromba d’aria che attraversa l’acqua, la spalanca, fa schizzare gocce d’umore dappertutto.
- Voglio dirti una cosa.
Ismail fa scivolare la mano sulla schiena.
- Domani, nell’orto degli ulivi, ammazzeremo un discepolo del nazareno matto.
- Per quale motivo?
- Come avvertimento: stanno prendendo troppo spazio, la gente comincia a credere all’uguaglianza, alla rivoluzione.
All’improvviso, anche a Ismail la stanza sembra angusta: è un albergo di poveri che per lui era perfetto, poco fa, e di cui ora nota le macchie sul muro, la tenda rosicchiata dalle tarme, il telefono ingiallito.
- Nell’orto degli ulivi?
- Sì, alle quindici in punto, mentre, come sempre, staranno seduti a chiacchierare.
- Chiacchiere inutili, immagino.
- Completamente inutili.
Il quadro astratto, ora, è un fungo atomico, una palla di fuoco che colora di rosso il cielo a strisce.