da qui
Marco prenota una stanza d’albergo per muovere le acque e cercare un approccio diverso con la città che non riesce a possedere e da cui, forse, si sente rifiutato. Entrato nella hall, è subito tentato di tornare sui suoi passi: si sente soffocare in mezzo al legno massello, alle tende bianche e marroni gonfie e pesanti come la sua testa, le lampade dalla luce abbagliante, l’esplosione di rose che si affacciano da un vaso di vetro o di cristallo, la donna bionda dell’accettazione che parla a telefono con voce bassa e seducente e si accorge del tentennamento, perché termina in fretta la conversazione e gli rivolge il sorriso più cordiale. Marco si avvicina come in trance, consegna il documento, vede le labbra aprirsi e chiudersi per pronunciare le frasi di prammatica, prelevare la chiave, assicurare la disponibilità per ogni tipo di evenienza. Si chiede che senso abbia questa gentilezza, essendo estranei e non avendo in comune che l’ingresso ingombro di legno e rose e le tende che sembrano cadergli addosso da un istante all’altro. Rischia di svenire, se si ferma ancora; saluta in fretta e si avvia verso le scale, anch’esse in legno, cosparse di rose che propagano un profumo troppo intenso. Inserisce la chiave nella toppa, apre la porta, sicuro d’infilarsi in un ambiente simile al primo; gli appare, invece, una stanza dai parati beige, moquette rossa e letto matrimoniale con spalliera bianca e due finestre che danno sul balcone. Si precipita fuori in cerca d’aria e non appena mette un piede sul terrazzo il cuore accelera immediatamente: dai tetti rossi si alza il fianco sinistro del Vittoriano e una serie di cupole di chiese a cui non saprebbe dare un nome; in fondo, un campanile che punta verso il cielo e, dietro ancora, i monti sovraccarichi di neve. E’ la prima immagine di Roma a cui non riesce a sovrapporre gli odori e i colori della sua città: respira solo il profumo delle rose, il legno massello, la moquette; il passato è nascosto dalle tende e lo sguardo si perde in un futuro indicatogli dalla quadriga in cima al monumento, dalla voce della portinaia che bussa all’uscio e gli chiede se gli occorra qualcosa, e a lui sembra di scorgere dietro le sue spalle le ali in bronzo della Libertà, gli occhi marziali, le mani affusolate, l’odore e il colore della città straniera che gli appare solo adesso occhi negli occhi, così vicina da non permettergli di voltarsi indietro.