59. Gigante rossa

Creato il 13 maggio 2012 da Fabry2010

Pubblicato da fabrizio centofanti su maggio 13, 2012

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L’hai perso di vista, se n’è andato. Ha preferito lo strizzacervelli allo scrittore. Peccato, perché stavate riprendendo il filo, t’interessava la storia della bambina che non dice il nome. Uno spunto importante per il tuo romanzo, che sta inseguendo un nome così strano che non pare vero: Fofner! Cos’hanno in comune la scritta sul bordo del pontile e la bimba che non si fa trovare? Pensi che la vita non sia altro che questo: inseguire qualcosa che non riesci ad afferrare e forse non esiste. Anche tu: che ci fai nell’albergo troppo caro, in cui sperperi tutto lo stipendio di guida turistica? Cos’è che ti costringe ad aspettare, come se i fili di tutte le storie dovessero passare da Parigi, come se ogni traccia portasse alla piazza col gatto di pietra, dove la tua vicenda personale ha subito una svolta da cui non puoi più tornare indietro? Avverti una forza che ti spinge a non arrenderti, a mettere insieme i tasselli di un mosaico di cui non riesci a indovinare il disegno complessivo. Ti senti il prescelto dal destino, come se la storia, senza te, dovesse sgretolarsi, perdere pezzi, fino a evaporare in una nuvola di fumo. O forse è il fumo della Winston blu che ti fa sentire onnipotente, e se non battessi sui tasti del computer tutto continuerebbe come prima, anzi, sarebbe meno complicato, perché il problema comincia quando si vuole dare un nome alle cose a tutti i costi, nel momento in cui ti comprometti con la realtà concreta e te ne senti responsabile; molto, molto meglio lasciare tutto nel vago, guardare la scena del mondo da lontano, permettere che ognuno prenda la sua strada e, una volta per tutte, lavarsene le mani. Sei tentato di smettere, ma la Winston è soltanto a metà: finché dura non puoi rinunciare a crederti l’artefice segreto di ogni intreccio; da Romolo hai imparato che il fallimento è alle porte se decidi d’interromperti, quando non hai più fiducia nello sviluppo di una trama, se dài ascolto ai motivi infiniti che potrebbero convincerti che non vale più la pena, tanto una storia vale l’altra, e tutto è stato scritto da qualcuno molto prima di te, uno che ha affrontato le tue stesse strettoie, le aporie che ogni vita porta in sé, l’istante in cui ti dici ma chi me lo fa fare: dovresti prendere parte per se stesso, sederti al tavolo della brasserie a guardare i passanti chiusi nelle loro paure e nei loro desideri, rilassarti, farti una ragione del nonsenso, anzi, ritenerlo un ingrediente necessario affinché il baraccone vada avanti, fino al giorno in cui, tra cinque miliardi di anni, il sole si trasformerà in una gigante rossa e collasserà trascinando nella sua rovina gli amori disperati, le speranze nascenti, i tradimenti inevitabili, la matassa inestricabile che fa una cosa sola del romanzo e della vita. No, vuoi proseguire, cerchi informazioni, parli con Nino che può darti soltanto notizie un po’ generiche, ma tanto basta per non mettere ancora, per adesso, la parola fine.


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