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Da Miwako
Albeggia.
Riposata ancora prima di dormire, ascolto quei pochi che si svegliano di domenica alle 6.00
C'è un forno, sotto casa mia. O meglio, una succursale produttiva; che mica lo vendono il pane, lì sotto.
Se ti affacci alla finestra e inspiri profondamente con le narici, ci senti dentro l'odore del pane, le chiacchiere stanche, a volte un po' di musica.
Un pacchetto di caramelle, due di tabacco, la lampada accesa, la tesi sotto mano, e un sorriso che la sa lunga stampato in faccia. Non mi manca niente, al momento.
Forse un po' di tempo e buona parte delle note, ma ce la farò.
La stanchezza è arrivata in poche righe.
In realtà c'era anche prima, ho solo scelto la parola sbagliata.
Non "riposata", ma "distesa".
Era tanto che non mi succedeva.
Ultimamente sono così agitata che mi si contorce lo stomaco e riesco a mangiare solo per puro senso del dovere, senza alcuna percezione del gusto.
Si salva solo la colazione.
Grazie a Dio.
O meglio, grazie ad io che ho scoperto pure il miele di tiglio.
Uno dei miei primi, immediati programmi, quando tutto questo sarà finito consiste nel suonare l'ukulele per un giorno intero e spignattare dal calar del sole fino a che non risorge.
Mi sembra un ottimo piano per una QuasiLaureata.
Questo dulche de leche, ad esempio, è da rifare e perfezionare. E poi, c'è uno stampino per cioccolatini che aspetta di essere inaugurato.
Ogni cosa a suo tempo.


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