di Pierluigi Montalbano
L’antica marineria della Sardegna.
Sarei felice di poter raccontare le vicende di qualche marinaio nuragico, ma le fonti storiche, avarissime di dati per questo periodo, non me lo consentono. In ogni caso, vista la tecnologia navale del tempo e tenendo conto del carattere notoriamente invariato del mare, sono ragionevolmente certo che qualche tempesta e vari naufragi abbiano accompagnato la storia di questi antichi naviganti. Certamente si andava per mare solo nella buona stagione ma, nonostante queste gravi difficoltà, i mari erano solcati da navi ed equipaggi coraggiosi, consentendo alle genti di conoscersi, di attivare traffici e scambi, ma anche di organizzare atti di pirateria. I sardi hanno un forte debito di riconoscenza nei confronti di questi marinai perché aiutano a superare un preconcetto al quale qualcuno è affezionato: la repulsione verso i viaggi in mare. La Sardegna è abitata (non stagionalmente) da almeno 80 secoli ma alcuni studiosi sostengono, a mio avviso erroneamente, che i sardi si sono tenuti rigorosamente lontani dal mare: tutti sul Gennargentu insomma…con qualche sofferta eccezione per il Limbara. Un record planetario ineguagliabile, peccato che non sia vero. Per me, studioso e appassionato di paleostoria, affascinato dalle incantevoli navicelle bronzee nuragiche, nucleo della mia tesi di laurea, i dubbi sull’ipotesi “sardi impauriti dal mare” sono leciti, a meno che non mi convincano che i modellini riproducano efficaci mezzi di trasporto per andare da Su Nuraxi di Barumini al Nuraghe Losa. Qualche studioso ha tentato di convincermi che le barche nuragiche in bronzo sono mezzi per raggiungere l’aldilà, quindi i nostri antenati progettavano le crociere solo dopo la morte. Per gli studiosi che non vedono di buon occhio una civiltà sarda proiettata verso il Mediterraneo, tutte le proposte sono buone, ma devono convincermi che le navicelle non riproducano modelli navali realistici. Va detto, comunque, che finora nessuno ha ipotizzato che fossero giocattoli per i giovani nuragici o portacenere. Resta poi da domandarsi come siano arrivati i primi abitanti. Esclusa la germinazione spontanea si intuisce un affannoso bruciare di barche, zattere e remi e vele. “Dae su mare su male” mi è capitato di sentire con toni di compiaciuto pessimismo.
Alcuni documenti egizi, tra i quali il papiro di Wilbour citato da Lilliu a proposito del periodo degli attacchi dei popoli del mare a Qadesh e nel Delta del Nilo, nel pieno sviluppo della Civiltà Nuragica, riferiscono di Sherden dal cuore ribelle, invincibili guerrieri che giungono dal mare. Non si ha la certezza assoluta che si tratti dei nuragici ma tutti gli indizi portano a questa deduzione. Inoltre, i rilievi di Medinet Abu, Abu Simbel e Karnak, che riferiscono di questi popoli, mostrano (rappresentati sui templi) personaggi molto simili ai guerrieri dei bronzetti nuragici, soprattutto nel vestiario e nelle armi. Le piccole sculture che fanno la fortuna dei musei di tutto il mondo, mostrano uno spiegamento di armi e armati eccessivo se il compito di questi ben equipaggiati guerrieri si limitava a regolare faide tribali interne all’isola. Inoltre ci sono le navicelle. Le coste italiche non sono lontane: risalendo le coste sarde e quelle della Corsica, e dirigendosi verso l’isola d’Elba, si può navigare a vista fino all’arcipelago toscano. Vi erano tutte le condizioni favorevoli per uno scambio commerciale fra le due sponde, e l’archeologia conferma questa proposta: a cavallo fra Bronzo e Ferro, nell’isola,si trovano asce, spade, fibule, anfore e brocche per il vino, e sono frequenti i bronzi sardi in tombe e ripostigli dell’Etruria. Nelle città di Tarquinia, Vulci, Populonia, Vetulonia troviamo un repertorio archeologico molto vicino al mondo nuragico. Inoltre sono provati scambi col mondo miceneo, e ceramiche nuragiche sono presenti a Lipari.
Ora descriverò come si muovevano i sardi di due millenni fa.
Diona Cassio e Strabone raccontano che alla fine del I Millennio a.C. alcune popolazioni dell’isola si ribellarono al controllo di Roma e dilagarono nelle pianure sarde. Nel 6° a.C. disturbarono con atti di pirateria i traffici marittimi dell’alto Tirreno, arrivando a sbarcare nella Lunigiana. Le 4 tribù montanare sarde (i Diaghesbei, prima chiamati Iolei) aggredirono le zone fertili della Sardegna. Gli autori li chiamano Parati, Sossinati, Balari e Aconiti e riferiscono che l’imperatore Cesare Ottaviano Augusto valutò la serietà del pericolo e decise di controllare l’isola personalmente, preferendo non cederla al Senato. In quegli anni si schierava a Karalis (Carales) il primo distaccamento navale della marina militare. Pochi decenni dopo i romani cominciarono a reclutare numerosi soldati e marinai nell’isola. La Coorte degli Aquitani fu trasferita in Germania mentre quella dei Lusitani fu spedita in Numidia. Nell’isola rimasero le coorti dei Corsi e dei Liguri, affiancati dalla Cohors I Sardorum. In altre parole i contingenti militari incaricati di controllare le coste del Mediterraneo Occidentale erano sardi, grazie al fatto che nell’isola non si verificavano più tensioni e i nuovi gruppi sociali romanizzati convinsero Nerone a restituire, nel 67 d.C., il controllo della Sardegna al Senato. Due anni dopo, la Tavola di Esterzili ci conferma che la situazione è cambiata positivamente anche in termini culturali. Il contenuto del testo racconta che i Gallilenses occuparono i territori delle pianure posseduti dai Patulcenses, ma non vi fu un conflitto armato. I tempi erano cambiati e sorprendentemente i Patulcenses, davanti a quel sopruso, non si armarono per vendicarsi, decidendo di rivolgersi al proconsole. Anche i Gallilenses non si prepararono a difendere con le armi i territori occupati e, come i nemici, andarono per vie legali utilizzando tutti i cavilli giuridici per giustificare l’occupazione delle terre. La romanizzazione della Sardegna, a mio avviso, diviene completa in questo periodo. Una decina di anni dopo si conclude l’epoca dei Flavi, gli imperatori che per tutta la seconda parte del I secolo d.C. crearono le condizioni di stabilità ed equilibrio che nel seguente II secolo continueranno con la dinastia degli Antonini. La Sardegna conosce un periodo di prosperità. Alcuni documenti riferiscono di soldati sardi inquadrati anche nelle legioni pretorie, e alcuni di essi ebbero gradi molto elevati. Se diamo uno sguardo alla distribuzione delle truppe in Sardegna, rileviamo che nel I d.C. si ha una concentrazione di truppe nel nord, mentre altre truppe erano dislocate a vigilanza delle montagne barbaricine. Nel II secolo la concentrazione militare si sposta a Carales, con compiti di guardia d’onore e polizia, mentre la marina mantiene compiti di prevenzione della pirateria e di collegamento con Roma. Un secondo gruppo di forze si dispone nell’Iglesiente, a protezione delle miniere, considerate d’importanza strategica. La situazione di pace ed equilibrio è confermata per tutto il III secolo d.C.
Si può far risalire la nascita della marina romana al 261 a.C., quando a Roma si comprese che Cartagine con le sue pentère e la sua flotta possedeva il dominio sul mare. Se la città capitolina non avesse ribaltato la situazione a nulla sarebbe valso conquistare il predominio terrestre. Sulla base di queste considerazioni, già nello stesso anno i romani costruirono venti trière e cento pentère, utilizzando una nave cartaginese fortunatamente recuperata. Così, nel 260 a.C., il console Caio Duilio sconfisse i punici a Milazzo, catturando parte della flotta. Attilio Regolo, un eroe con modesto discernimento politico, valutò definitivo il successo e incautamente si recò a Cartagine a imporre durissime condizioni di ultimatum. I punici, che non sempre si comportavano elegantemente, si ricordarono di una vecchia botte con le punte di ferro all’interno e vi fecero accomodare dentro l’incauto romano precipitandolo giù da una rupe. Nel 241 a.C. Lutazio Catulo battè i cartaginesi al largo delle isole Egadi. Tre anni dopo la Sardegna divenne romana, non senza qualche problema successivo, visto che i sardi resistettero a più riprese ai tentativi di romanizzazione attuati dal senato tramite l’invio di legioni e comandanti in cerca di gloria. Nel 212 a.C. gli annuari (registri dell’epoca) riferiscono di 70.000 marinai in servizio nelle navi romane. Con l’avvio del II secolo a.C. il Mediterraneo fu progressivamente smilitarizzato poiché era di fatto sotto il controllo di Roma Purtroppo tale lodevole disarmo favorì un aumento della pirateria e l’insicurezza delle rotte suggerì una corsa ai ripari. Fu Pompeo che risolse il problema. Grazie alla legge Gabinia del 67 a.C. ebbe ragione di questa piaga che creava lutti e danneggiava le economie dei popoli del Mediterraneo. Pompeo non si limitò a bloccare per mare i pirati, ma fu autorizzato dal Senato a penetrare in profondità nei loro territori per distruggerne le basi. Nel 71 d.C. era imperatore Vespasiano, che concludeva la riforma della marina creando due squadre navali pretorie. Una prima flotta, la Ravennate, controllava il Mediterraneo nord-orientale. Aveva basi in Epiro, Macedonia, Acaia (Peloponneso), Propontide (Mar di Marmara), Ponto (Mar Nero), Creta e Cipro. La seconda flotta, più grande, aveva il suo comando a Capo Miseno (Napoli) e controllava l’intero Mediterraneo Occidentale, comprese le coste africane. Aveva basi in Gallia, Spagna, Baleari, Mauretania, Egitto, Sicilia e Sardegna, dove contava sui porti di Olbia, Turris Lybisonis, Sulky e Carales. Tharros e il Golfo di Oristano erano approdi minori, non graditi ai romani. I sardi imbarcati nella flotta romana erano numerosi. Lo statunitense Starr osserva che la Sardegna fu tra le province occidentali quella che fornì il maggior numero di navi e uomini alla flotta di Miseno. Non male per un popolo che alcuni propongono privo di esperienze marinare, a meno che non paia credibile l’ipotesi che i romani volessero autodistruggere la flotta dandola in mano a equipaggi incompetenti. Il Pais ricorda che i ritrovamenti epigrafici che ricordano i classiari sardi sono pari, in termini quantitativi, a quelli che ricordano classiari di tutte le altre regioni mediterranee messi insieme. Solo la Siria, prosegue il Pais, poteva vantare contingenti di pari livello a quelli sardi, e l'autore conclude affermando che solo i traci erano più numerosi.
I disegni sono di Franco Montevecchi.