da qui
Dal Monte degli Ulivi si vede un mosaico a fasce di colori: il bianco delle tombe, il giallo della terra punteggiata di cipressi, il grigio dei muretti in pietra, fino al beige delle mura che abbracciano la pasta chiaroscura delle case, l’oro della cupola e il verde degli alberi che vegliano come un manipolo di guardie.
- Prova a capire cosa scrive.
- Sembra facile.
Yoh’anan allunga il collo, cercando di non essere invadente. E’ più facile leggere i nomi sulle tombe in lontananza: un domino infinito di storie che si confusero con la terra e il cielo e ora sono chiuse in parallelepipedi di marmo.
- Guardatevi dal lievito degli ipocriti: ho letto questo. Eleazar e Nathane mi dicevano una cosa, di Yoh’anan.
- Cosa?
Le tombe sono una tastiera immensa da cui esce una musica monotona: una richiesta di benedizione ossessiva, petulante.
- Era convinto che da qualche parte ci fosse qualcosa scritto da Dio.
La fascia gialla coi cipressi è la zona dei coristi, ragazze e ragazzi con camicie chiare e scure.
- Abbiamo già la Bibbia.
- Diceva che Dio non smette mai di scrivere, ma bisogna sapere su quali dei miliardi di fogli che vanno per il mondo, Shime’on.
Le mura grigie non si sa mai che cosa chiudano: se quello che c’è dentro o quello che sta fuori.
- Il problema è dalla parte del lettore, del suo sguardo. Dio può scrivere tutto ciò che vuole, ma serve un’occhio sincero per capirlo.
- Dicono che il Mashiah cantasse, quando predicava.
O forse sono le mura a essere chiuse da quello che c’è intorno.
- Bisogna amare la musica per comprendere la parola dell’Altissimo?
- Pare che l’Angelo del Signore canti ogni notte, mentre tutti dormono. Il poeta che veglia e il matto che vaga per le strade sono gli unici che possono sentirlo.
Le mura, la città, le tombe, si contengono a vicenda.
- Solo uno sguardo puro può comprendere le pagine di Dio.
- Cosa avevi letto sul foglio di Yehochoua?