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64. Festival di Berlino: “The Grand Budapest Hotel” di Wes Anderson (Film di apertura)

Creato il 07 febbraio 2014 da Taxi Drivers @TaxiDriversRoma

the grand budapest hotel

Anno: 2014

Distribuzione: 20th Century Fox

Durata: 100′

Genere: Commedia, Drammatico 

Nazionalità: Germania, USA

Regia: Wes Anderson

Data di uscita: 20 Marzo 2014

Wes Anderson apre il 64. Festival di Berlino presentando in anteprima mondiale The Grand Budapest Hotel, film che ha richiesto due sale per la proiezione quasi in contemporanea dedicata alla stampa mondiale. Grande partecipazione e attesa, quindi, per l’ottavo film del regista texano accompagnato in conferenza da Ralph Fiennes, Bill Murray, Willem Dafoe, Edward Norton, Saoirse Ronan, Tilda Swinton e Jeff Goldblum. Un cast stellare che non finisce qui, completato dagli assenti Adrien Brody, F. Murray Abraham, Mathieu Amalric, Jude Law, Jason Schwartzman, Tom Wilkinson, Owen Wilson e Tony Revolori. Tanti attori per altrettanti piccoli mondi da amare.

Già avvezzo al festival di Berlino dove aveva presentato I Tenenbaum e Le avventure acquatiche di Steve Zissou, Anderson costruisce ancora una volta un nuovo mondo da abitare, un luogo fantastico fatto di magnificenza e decadenza dove si raccontano le avventure del leggendario concierge Gustave H (Fiennes) e del suo fidato Lobby Boy (Revolori). Concierge raffinato con il debole per le attempate, superficiali e rigorosamente bionde signore che frequentano il Gand Budapest Hotel – un albergo di lusso situato nell’immaginaria Zubrowka, arroccata sulle montagne –, Gustave ha un affaire con la centenaria Madame D. (Swinton), della cui morte viene successivamente accusato. Dalla sua amante riceve in eredità un preziosissimo dipinto rinascimentale, suscitando l’ira funesta del figlio Dmitri (Brody), il quale corrompe il suo maggiordomo (Amalric) per incastrare Gustave, assolda uno spietato killer (Dafoe) per spianarsi la strada e riesce a ottenere l’arresto (messo in atto da un Norton ancora una volta in divisa) di chi ha messo le mani sul suo patrimonio.

Un film affollato, pieno zeppo di grandi nomi e altrettanti riferimenti alla realtà, a partire dalla storia che lo ha ispirato. Dietro la sceneggiatura scritta a quattro mani con Hugo Guinness vi è un libro, The World of Yesterday, dello scrittore pacifista austriaco Stefan Zweig che nel 1933 si vide bruciare i suoi scritti dai nazisti. Vi è un amico di Anderson, la cui eccentricità ed eleganza nel parlare hanno ispirato la figura di Gustave. E poi ci sono gli episodi di frontiera, il fascismo/nazismo, poi il comunismo, le guerre, lo sguardo nostalgico verso la belle epoque, la decadenza del Vecchio Continente.

Colori irreali, ora acidi ora pastello, movimenti di macchina che seguono i personaggi senza lasciarsi scoraggiare da nessun limite fisico, il tocco fantasioso con cui tutti gli abitanti di questo ennesimo mondo immaginario rendono la storia più vera che mai, definiscono il tocco di Anderson, architetto di luoghi inventati e abitabili. I cittadini di Zubrowka – leggi della mente creativa di Anderson – sono esemplari unici e a tutto tondo, definiti da piccoli dettagli che ne custodiscono il passato e sono determinati da una personalità spiccata. Il mondo costruito da Anderson, che nella sua virata fiabesca si attiene rigorosamente al paradigma della coerenza, non si nutre solo di realtà ma attinge voracemente anche al cinema, alle sue strutture e forme narrative. Tecnicamente (gioca con il formato), esteticamente e semanticamente Anderson guarda al passato, inconsciamente quando si parla della meticolosità kubrickiana nella ricostruzione degli ambienti, e volontariamente quando si tratta di scegliere la maniera con cui strappare un sorriso mentre la tragedia è in corso (vedi la comicità affilata di To be or not to be di Lubitsch, o Grand Hotel di Edmund Goulding e The Mortal Storm di Frank Borzage, alcuni dei titoli visionati da Anderson insieme alla sua crew e presi a modello per il suo film).

Nel suo cinema di reale finzione Anderson non tralascia di raccontare l’arte della narrazione, affidata all’introduzione dell’Autore (Wilkinson) il quale ci illumina sull’origine dell’ispirazione. Al momento, per il regista di Moonrise Kingdom l’arte della narrazione segue le logiche di una fervida immaginazione che mastica storia e cinema per costruire paesaggi umani bizzarri e veri, anche solo per una battuta.

Francesca Vantaggiato


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