66esimo Festival di Cannes: “Blind detective” di Johnnie To (Fuori Concorso)

Creato il 20 maggio 2013 da Taxi Drivers @TaxiDriversRoma

Anno: 2013

Durata: 129′

Genere: Poliziesco atipico

Nazionalità: Hong Kong, Cina

Regia: Johnnie TO

Johnnie TO  irresistibile e ′incondannabile’

Arriva a Cannes fuori concorso Johnnie TO con la sua ultima creatura… E di creatura si tratta, perchè il cinema di questo prolifico ‘mostro doppio’ (occhio-penna: Johnnie TO e Ka Fai WAI, suo inseparabile sceneggiatore, co-fondatore della loro casa di produzione, la Milkyway) fermenta e si sviluppa in progressione. Come un lievito, cresce man mano che avanza nella narrazione, inglobando-fagocitando stili, stilemi, stati emotivi e mentali, deviazioni-devianze-aberrazioni…Il risultato è un coacervo esplosivo folle, dolce, macabro, comico. Cosi può essere condensato Blind detective, contraltare in chiave ironica del piu cupo Mad Detective (2007), con l’identica predisposizione di atipicità e menomazione del protagonista. Anche in questo film To crea l’antitesi del cop in pistola, incatenato alle prove, prevedibile e pragmatico. Il nostro bizzarro e irresistibile agente in pensione forzata – autodefinito e definito il poliziotto migliore del mondo – si avvale di espedienti altri, amplificati da una menomazione (la cecità) che espande il tatto, l’olfatto e soprattutto il cervello. L’immaginazione-immedesimazione-riproduzione dei prodromi del delitto permette al nostro supercop di arrivare a delle conclusioni meta reali e infallibili. In uno dei suoi pedinamenti straordinariamente illuminati nell’inventiva narrativa (un cieco armato del suo inseparabile bastonciono che segue, nella massa informe e metropolitana, un sospetto seminatore di acido solforico), il supercop è affiancato in incognito come controllore visivo da una superagente in provetta (la tosta-dolce-bambina Sammy Change) che resta folgorata dal vederlo in azione. La donna gli si rivolge nel duplice intento di diventare sua apprendista e di ingaggiarlo nella  soluzione di un caso che le ha preso il cuore.

Da questo incipit veniamo letteralmente proiettati dentro un flusso concomitante di situazioni tra il serio e faceto, supportate da paradossi soprendenti ed esilaranti – pure  nel macabro a cui alcuni di essi rimandano – capitanati, nel vortice episodico-emotivo-umano, dallo straodinario Andy Lau, e dalla sua mimica stracomunicativa: il supercop è esuberante, narciso, egoista, intransigente, infantile (e una buonissima, vorace forchetta). Un personaggio difficile da dimenticare. Come il suo doppio femminile, un maschiaccio seducente che vede in lui un maestro ed anche un uomo di cui ben presto di innamora. Inutile e superfluo spiegare come l’incredibile matassa giungerà al totale dipanamento. Ciò che conta è quel che succede nel mezzo, le digressioni comiche e inventive, orrorifiche e sognanti, le piccole verità ed emozioni che spontaneamente, da se stesse, emergono. Sull’amore, per esempio, To ha molto da insegnarci e farci riflettere, divertendosi sempre, nei paradossi che inscena, a mostrarci le piccole illusioni di cui ci nutriamo, i giochi del caso, i masochismi che abbracciamo.

E sopra ogni cosa, egregiamente dipinta, la “follia” orientale… Un essere sopra le righe che esplode in esilaranti urli, caratterizzazioni umane e disallineamenti ad un ordine e compostezza che, innati, pure appartengono a quella cultura. Si avverte la pesantezza di un tempo filmico e narrativo tirato troppo, nel quale alcuni nuovi inizi, che si aggiungono al già stato e lo riproducono parallelamente, appaiono sterili, complicando tanto per complicare. Ma quando le luci si spengono, perdoniamo a To una sovrapposizione ed un investimento eccessivo, troppi gli stimoli visivi e immaginativi che ci ha reso, con una regia sempre impeccabile nell’eleganza e pulizia di contenitore filtrante di un flusso  creativo incontenibile.

Maria Cera


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