66esimo Festival di Cannes: “Nebraska” di Alexander Payne (In Concorso)

Creato il 24 maggio 2013 da Taxi Drivers @TaxiDriversRoma

Anno: 2013

Durata: 110′

Genere: Drammatico

Nazionalità: USA

Regia: Alexander Payne

 

Non esalta e non delude, non intenerisce e non inquieta il film in corsa per la Palma d’Oro di Alexander Payne, Nebraska, un road movie sul viale del tramonto avaro di forti emozioni che scava nelle radici di una famiglia per delineare la figura di un uomo, di un padre. Montana. Woody (Bruce Dern), un marito e padre di famiglia affetto da demenza senile, convinto di aver vinto un milione di dollari da ritirare in Nebraska, si mette in cammino per raggiungere la meta. Mentre la moglie (June Squibb) insieme ai figli Ross (Bob Odenkirk) e David (Will Forte) dibattono sull’eventualità di ricoverarlo in una casa di riposo, stanchi dei suoi innumerevoli e imbarazzanti episodi di follia, David decide di accompagnarlo a ritirare l’inesistente premio. Il viaggio alla ricerca di una ricompensa immaginata traccerà la rotta di una relazione imbastita sugli incontri – rivelatori di segreti – con il passato di un padre quasi sconosciuto.

Momenti di ilarità cadenzano e alleggeriscono i toni scuri dell’avventura on the road che i due uomini sembrano più che mai determinati a compiere. Oltre alla sosta lungo i binari del treno alla ricerca della dentiera perduta e la breve visita al monte Rushmore liquidato bruscamente da Woody perché ‘incompiuto’, padre e figlio concedono un’interruzione più lunga al viaggio per fermarsi dal fratello di Woody, presso il quale il massimo momento di raccoglimento famigliare avviene attorno al televisore. Nel riprendere il passato di Woody fatto di volti tutt’altro che amici, Payne palesa l’effimero sentimento di interesse risvegliato dal profumo del denaro che l’anziano vanta di dover ricevere.

Come in The Descendants, fa da perno al nuovo lavoro di Payne il confronto generazionale famigliare ma, questa volta, l’affondo umano e relazionale è privato di un contorno colorato adatto alle Hawaii a favore di un bianco e nero essenziale per ricreare l’atmosfera più modesta delle pianure nel cuore dell’America. David è consapevole della futile richiesta di un padre cocciuto e dimesso, eppure decide di accompagnarlo nella desolazione dei luoghi appartenenti al suo passato  perché ha bisogno di costruire una relazione solida con lui. Echi lontani ricostruiscono la figura di un padre che il figlio sente di non afferrare, voci del passato raccontano di un uomo nuovo screditato da una moglie che lo considera ormai inutile. David vorrebbe poter comunicare di più con suo padre, e durante il cammino percorso insieme cerca di imparare le regole del linguaggio – non verbale – per potersi avvicinare a lui. Il passato – visivamente evocato dalla coraggiosa scelta del bianco e nero – è il tempo in cui tuffarsi per comprendere il presente, è il luogo delle possibilità che furono e che, una volta lasciate cadere, ritornano solo nelle illusioni di uno sguardo nostalgico.

Nebraska è una commedia nera e una fotografia umana caustica e desolante che vuole sottrarsi tanto a una critica spinta dello scorcio osservato quanto all’approfondimento sentimentale di un rapporto che avrebbe potuto risolversi in un avvicinamento delle parti più toccante. Sembra che Payne non voglia spingersi al di là di alcuni limiti emotivi sia nella rappresentazione del fallimento comunicativo padre-figlio sia nelle conquiste affettive e di comprensione dell’altro raggiunte alla fine del road trip.

Francesca Vantaggiato


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