Parlare di un festival prima ancora di avene visto i film è in parte un
esercizio di retorica. Chi ne deve scrivere si confronta puntualmente
con questo pensiero e ogni volta a prevalere è la voglia di condividere
pronostici e considerazioni, nella speranza che ciò che ne viene fuori
riesca a farsi strada nella curiosità dei lettori. Tra sensazioni e
aspettative la 68esima edizione del festival di Locarno può comunque
contare su alcuni punti fermi dei quali non si può non dire. Il primo
riguarda gli organizzatori e in particolare Carlo Chatrian,
passato in men che non si dica dal lavoro di selezionatore a quello di
responsabile dell'intero ambaradan. In questi giorni di vigilia è a lui
che tutti guardano, in virtù di una responsabilità che può contare su
un'esperienza oramai consolidata dall'apprendistato delle precedenti edizioni
e alla quale, di conseguenza, ci si rivolge con occhio esigente e senza
più alcuna indulgenza; in bocca al lupo. Il secondo invece, è relativo
alle personalità internazionali chiamate a illuminare le giornate del
festival con il carisma delle loro rinomate carriere. Considerata
l'attesa che si è scatenata attorno alla presenza di figure leggendarie
come lo sono quelle di Michael Cimino e Jerry Schatzberg (presente in
veste di giurato e omaggiato con la proiezione di "The Scarecrow"),
autori di un cinema bello e dimenticato, o di attori bravi e fascinosi
come Edward Norton ed Andy Garcia, e senza dimenticarci di Marco
Bellocchio, anche lui nella mischia con il premio alla carriera che gli
sarà consegnato in occasione della proiezione del suo "I pugni in tasca",
non si può fare a meno di considerare come il divismo più o meno
conclamato dei personaggi appena citati confermi, se mai ce ne fosse
bisogno, come anche un festival rigoroso come quello di Locarno non
possa fare a meno del ritorno mediatico assicurato dalla presenza di
star di questo calibro.
Venendo al cinema propriamente detto e ai
film presenti nel cartellone della sessantotessima edizione, la
posizione d'onore spetta al capolavoro di Cimino ",
con una proiezione sullo schermo della Piazza Grande che sa sola vale
il viaggio in Svizzera, seguita a breve distanza dal film d'apertura,
"Dove eravamo rimasti", che segna il ritorno al cinema di Jonathan
Demme, impegnato a dirigere Meryl Streep, qui nella parte di una
rockstar decisa a rimettere insieme i fili di un passato famigliare
sacrificato alle ragioni del successo. Sempre fuori concorso oltre al
nuovo Fuqua che in "Southpaw" sembra fare il verso a Rocky e a Judd
Appatow che in "Un disastro di ragazza" si mette a disposizione del
talento comico della bionda Amy Schumer, spicca la presenza di Cecile De
France, femminista innamorata nella Parigi del 71 in "La bella Saison"
di Catherine Corsini. Sul versante dei lungometraggi in gara per il
premio finale, il concorso internazionale conferma la filosofia di
sempre, mettendo insieme cineasti di fama a registi da scoprire. Tra i
primi, la menzione spetta ad Andrzej Zulawski, ex desaparecidos tornato
alla regia con una storia d'amore ("Cosmos") ai limiti della follia
tratta dallo scrittore polacco Witold Gombrowicz e, subito dopo, al
coreano Hong Sang-soo, vecchia conoscenza del festival, che in "Right
Now, Wrong Then", continua a raccontare con le forme della commedia gli
intrecci tra l'arte e la vita. Dei secondi, in termini d'attesa, si
segnala "James White" di Josh Mond, gia passato con successo all'ultimo
Sundance con la storia di un ragazzo newyorkese impegnato a riprendere
tra le mani la propria vita.
Detto che la personale dedicata al grande
Sam Peckinpah, oltre a proporre l'intera filmografia del regista
americano, permetterà agli appassionati di recuperare i primi lavori,
realizzati per la televisione, non ci rimane che parlare della presenza
italiana e di Pietro Marcello che con "Bella e perduta", decide di
mettersi in gioco lontano dall'Italia con un film che racconta il nostro
paese attraverso il viaggio di una strana coppia. Una scelta, quella di
sbarcare a Locarno, che la dice lunga sulla personalità del regista
casertano e che da sola ci risarcisce almeno in parte dalla latitanza
del nostro cinema, rappresentato da una pattuglia di coraggiosi che
comprende tra gli altri Massimo Adolfi e Marina Parenti, autori di
"L'infinta fabbrica del duomo", e "Pastorale cilentana", di Daniele
Segre, a testimonianza dell'attenzione del festival nei confronti di un
genere in cui l'Italia riesce ancora a primeggiare.
(pubblicato su ondacinema.it)