James White
di Josh Mond
con Christopher Abbott, Cynthia Nixon
Usa, 2015
genere, drammatico
durata,
Nel nostro taccuino figurava tra i film più attesi del concorso. Sulla
carta infatti, il percorso al contrario dell'inquieto protagonista, un
giovane newyorkese, costretto dalla malattia della madre a prendersi le
proprie responsabilità e a interrompere un'esistenza di cupio dissolvi,
costituiva di per se motivo di sicuro interesse. D'altronde è dagli
anni ottanta, e a partire dai romanzi dei cosiddetti scrittori
minimalisti, che la dissoluzione della famiglia americana viene
sublimata dalla costante presenza della sofferenza fisica e psicologica.
Queste ultime, entrambe presenti in "James White", tanto nel malessere
esistenziale del protagonista, derivato dal mancato confronto con il
genitore appena defunto, quanto nell'aggiornamento del quadro clinico
relativo alla madre del protagonista.
Detto che la regia di Josh Mond,
con i primi piani al microscopio, gli sfondi fuori fuoco e la
fenomenologia del quotidiano, è di quelle che si sposano in pieno con il
modello di cinema indipendente promosso dal festival di Robert Redford,
dobbiamo dire che la principale debolezza di "James White" è quella di
credere che il travaglio emotivo e la disperazione che i protagonisti
riversano sullo schermo sia in grado, da sola, di fare la storia del
film che, al contrario, privato di un vero e proprio impianto narrativo,
rimane a metà strada tra referto medico e romanzo di formazione. In un
simile contesto la bontà della performance di Christopher Abbott è in
parte sprecata.
(pubblicato su ondacinema.it/speciale 68 festival di Locarno)