E se "squadra che vince non si cambia" non è proprio la frase adatta per la formazione artistica della sua seconda opera cinematografica, diciamo che quantomeno un punto di riferimento affidabile McDonagh ha voluto tenerselo. E' Colin Farrell infatti il protagonista della storia schizofrenica (o stratificata!) e, perché no, a forti tinte psicopatiche dove un mucchio di gente un po' per volontà propria e un po' per volontà altrui si ritrova al centro di uccisioni suddivise tra realtà e immaginazione, con annesso accostamento su quanto la linea di demarcazione fra questi due mondi sia poi flebile e congiunta.
Ciò che aveva sorpreso maggiormente dello stile di Martin McDonagh era stata la capacità di tirar su dialoghi e situazioni tragicamente ironiche con una facilità e una brillantezza inconsueta. E allora "7 Psicopatici" apre e chiude il sipario spiazzando, costruendo sul tracciato della sua retta una serie di accadimenti assurdi e folli che miscelano con mestiere e bravura la vera sceneggiatura all'altra filmica a cui sta lavorando perditempo lo scrittore alcolizzato e irlandese - sottolineamolo - Marty (Colin Farrell). A rendere il prodotto diversificato, una serie di personaggi che non deludono affatto le aspettative del titolo ed insieme alla loro incontrollabile sete di vita, morte, rimpianto e violenza portano nel bagaglio personale anche una grandissima dose d'amore per l'essere, umano o animale che sia.
Siamo al cospetto di un prodotto eccentrico, diverso persino se paragonato ad "In Bruges" che rimane il lungometraggio migliore realizzato fino ad ora da McDonagh. Eppure "7 Psicopatici" somiglia precisamente a quello che, secondo chi scrive, aspirava a voler diventare: una pellicola sbilanciata e colma di salti di registro, spesso lontanissimi l'uno dall'altro, che ingloba dentro di sé il pieno spirito delle personalità che racconta con l'esclusivo intento di divertirsi e divertire.
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