75. Lev Shomèa

Creato il 31 dicembre 2010 da Fabry2010

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Leopoldo è imbarazzato: il dottor Peltre ha dichiarato di non credere a una parola della storia che lui ha vissuto passo dopo passo. Come farà a convincerlo? Si rende conto, per la prima volta, dell’insufficienza della materia verbale, in cui consiste, poi, tutto il suo mondo. Sarebbe più facile esprimersi in musica, puntare direttamente al cuore con le note, che s’impongono senza bisogno di ulteriori spiegazioni. Gli torna in mente quella sera, al teatro greco di Taormina, in cui le dita di Ashkenazy dipingevano arabeschi di suoni che lo rapivano in un’altra dimensione: al momento del Valse noble perse quasi conoscenza, era il pezzo che lo commuoveva di più in assoluto e non sapeva dirne la ragione: è la musica che spiega tutto, prende il cuore e lo fa battere molto più veloce finché non senti male e vorresti rivolgerti al vicino, implorarlo di aiutarti, ma vedi che lui è nelle stesse condizioni, si è voltato nello stesso istante, come in trance, mentre il Valse noble sembra rovesciare il teatro, rovesciare il mondo, mostrarne i tratti veri, quelli di cui non ti sei mai accorto, perché, come scrisse qualcuno, l’essenziale è invisibile agli occhi, ma udibile agli orecchi, e solo il pianoforte è in grado di sussurrare l’essenziale, che ha la stessa aria bohémien di Vladimir Ashkenazy, i capelli spettinati, il naso leggermente aquilino, le basette spesse, la camicia e la cravatta spiegazzate per il continuo agitarsi, il rincorrere un senso che le note custodiscono e rivelano a chi le sa ascoltare, come aveva capito Salomone, il grande re, quando a Dio che gli chiedeva di esprimere il desiderio più profondo rispose di volere un lev shomèa, un cuore che sappia ascoltare, come quello di Leopoldo, che ora, però, deve chiederlo per il dottor Peltre, il quale non crede a una parola di quello che gli hanno riferito.



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