76. Fumi

Creato il 05 gennaio 2011 da Fabry2010

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Maria è per la terza volta davanti a san Giuseppe. Il fumo dei ceri disegna spirali in cui si possono leggere figure fantasiose: una nuvola, un nano, un cane senza coda. Nelle forme sempre nuove le sembra di leggere gli ultimi eventi della vita: la crisi di Leopoldo, le apparizioni di scrittori famosi, l’incontro con Andreas, l’attentato a don Faber; una delle scie grige è quella lasciata dal proiettile partito casualmente e terminato nello stomaco del prete. Un’altra è il suo incontro sotto i ponti col barbone misterioso che prevede il futuro ma non sa riscattarsi dal passato, come se ogni passo in avanti fosse compensato da una perdita e il bilancio dovesse in qualche modo pareggiarsi, secondo una logica aziendale. Ora il filo di fumo si divide in due tronchi che prima si distanziano e poi invece convergono di nuovo, si toccano, s’intrecciano: sono lei e Andreas stretti in un abbraccio irresistibile sotto le stelle di Parigi, come non avessero atteso altro nella vita e ogni divisione possibile trovasse qui un approdo di riconciliazione. Le sembra strano che una scena così le si presenti alla mente davanti a san Giuseppe, che difficilmente apprezzerebbe. Anzi, ora le sembra che il volto sia diventato più severo e il filo di fumo si divida per uscire parallelamente dalle narici allargate per la rabbia. In quel momento, qualcuno le tocca una spalla; la coincidenza con l’immagine del santo furibondo la fa sobbalzare e gridare di paura.
- Chi è lei!
E’ un tipo anziano dai capelli di un bianco luminoso, vestito dignitosamente in giacca blu, maglione chiaro e cravatta che chiude il collo di una camicia grigia. Un paio di occhiali spessi si posano su un volto abbronzato da vecchio marinaio.
- Sono tre giorni che la vedo qui davanti e non potevo fare a meno di chiederle il perché. Da scrittore, m’interesso di tutto.
- Cerca ispirazione?
- L’ispirazione non esiste, è un’invenzione degli ipocriti. Un romanzo richiede lavoro, resistenza tenace, raccolta di dati che si accumulano per formare la materia che sarà poi rifinita col cesello. E’ artigianato puro, si apprende giorno dopo giorno, tra successi e fallimenti, come soleva dire una collega del signore qui davanti.
- Quale collega?
- Teresa D’Avila: cadendo e rialzandomi, ho imparato a camminare. Lo stesso vale per chi scrive. Lo scrittore e il santo hanno la stessa vocazione.
- A Maria viene in mente l’immagine di san Giuseppe che le detta il racconto e non può fare a meno di annuire.
- Ho un’amico, però, secondo il quale l’ispirazione nasce dal vento, la libertà capace d’indicare parole che vanno dritte al cuore.
- Balle. Le ripeto: l’ispirazione non esiste. Chiunque abbia la ventura di narrare, sa che le dita battono sui tasti appena ti accomodi al computer e decidi di tirare fuori ciò che hai dentro. La scrittura è lavoro, il resto è fumo.
Sull’ultima parola, Maria si lascia portare dai pensieri: torna a contemplare le scie grige che s’intrecciano e si lasciano e poi tornano ancora ad abbracciarsi e si convince che la vita è una contraddizione senza fine. Forse proprio all’incrocio degli opposti è possibile trovare quello che si chiama verità.



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