Aldo Grasso ha analizzato sul Corriere della Sera la crisi di questo Festival, affossato dalla nostalgia, che guarda al passato perdendo il pubblico giovane:
Com’è possibile che il Festival, modellato e condotto come lo scorso anno, abbia avuto un’emorragia di audience? Le motivazioni possono essere tante, ma certamente il genetliaco della Rai è un peso non da poco. L’idea di spalmare nei vari programmi la celebrazione dei 60 anni ha finito per danneggiare irrimediabilmente Sanremo, nonostante l’impegno di Fabio Fazio e la sua bravura a dominare l’imprevedibile. Ma è stato proprio il prevedibile ad affossare il Festival. Con tutto il rispetto, ma se sul palco salgono Tito Stagno, Raffaella Carrà, Cat Stevens, il ricordo del Maestro Manzi, la pur grandissima Franca Valeri, le gemelle Kessler, Claudio Baglioni, Renzo Arbore, persino Laetitia Casta, ebbene se c’è tutto questo passato che torna, il Festival fatalmente si trasforma ne «I migliori anni», perde quella «freschezza pop» che Fazio era riuscito a dargli. Anche il tema della bellezza, di fronte ai disastri del presente, di fronte al treno deragliato, lì a due passi, sulla linea Savona-Ventimiglia (la linea della vita di Fazio) si impossessa completamente dello spettatore più adulto e gli riempie gli occhi di lacrime e il cuore di nostalgia. Ma i giovani, anche quelli sdraiati, fuggono, non è roba loro. Tutta colpa della spending review e di una scarsa dimestichezza con il prodotto dei vertici aziendali. Vuoi ricordare i 60 anni? Chiama Conti o, meglio ancora, Pippo Baudo. Vuoi valorizzare Sanremo? Chiama Fazio e non guardare indietro.