• Non aprite quella porta (Tobe Hooper, 1974)
Contrariamente a ciò che afferma la voce over all'inizio del film, infatti, la storia macabra e rivoltante di cinque ragazzi finiti nelle grinfie di una famiglia di redneck macellai (tra i quali spicca il freak Leatherface), non ripropone affatto accadimenti reali. Come Psyco, Deranged e Il silenzio degli innocenti, Non aprite quella porta è solo parzialmente ispirato alla storia del serial killer del Wisconsin Ed Gein, il quale riutilizzava la pelle delle sue vittime per confezionare con essa oggetti ed indumenti. Gli interni della casa e in particolare il grottesco salotto della famiglia furono ricreati prendendo spunto da quelli filmati dalla polizia durante un sopralluogo a casa Gein con tale verosimiglianza che tutt'oggi le biblioteche della cittadina di Burkburnett, Texas, e della vicina Wichita Falls, situate nei pressi della zona in cui la storia è stata ambientata, ricevono regolarmente richieste di copie originali di articoli di giornale legate agli eventi narrati nel film. Sud sporco, gotico e terribile. VOTO 10
• Fraylty - Nessuno è al sicuro (Bill Paxton, 2001)
Caratterista texano con una discreta carriera alle spalle (da Aliens a Titanic passando per il grottesco, validissimo Near dark), Bill Paxton esordisce alla regia con questo Frailty - Nessuno è al sicuro e ci regala un thriller ricco di suspense e venature horror, dosando con cautela l'uso degli effetti spettacolari e lo spreco di emoglobina che hanno inflazionato il genere. Il regista - con buona tecnica realizzativa e sapiente gioco di sceneggiatura, che s'incrina giusto un pelo sul finale - preferisce soffermarsi sulla pazzia che si annida nella quotidianità (impersonando egli stesso un innocuo padre di famiglia che si dice improvvisamente «illuminato» e pronto a uccidere spietatamente per conto nientemeno che dell'Altissimo), forse più spaventosa e disturbante di qualsiasi evento soprannaturale. Il film, una piacevole quanto inaspettata sorpresa per gli amanti del genere, oltre a meritarsi un ottimo riscontro al botteghino ha ricevuto i commenti entusiasti di James Cameron e Sam Raimi, ma soprattutto del «Re» Stephen King. Notevole l'apporto di un giovane, ma già talentuoso, Matthew McConaughey. VOTO 9
• La città che aveva paura (Charles B. Pierce, 1976)
Ispirato a una storia vera, il film di Pierce è un thriller vecchio stampo di eccellente fattura che non di rado vira verso il western moderno (la presenza nel cast di Ben Johnson, già uno de Il Mucchio Selvaggio di Peckinpah, ne garantisce in qualche modo la germinazione). L'ambientazione anni '40, al pari di una fotografia ottimamente curata, danno alla pellicola un'allure di bella tensione sospesa (che qualche volta però, è bene dirlo, rasenta la catatonia). Per gli standard dell'epoca, comunque, resta un film inquietante e morbosamente spigliato. I vari omicidi sono ben rappresentati, violenti ma senza mai eccesso di sangue; tosto il look dell'assassino, che ispirerà Jason in L'assassino ti siede accanto. Remake del 2014 di cui parlammo qui. VOTO 8
• Intervista col vampiro (Neil Jordan, 1994)
Grande fascino nella ricostruzione d'epoca, nelle scenografie e nei costumi per una sontuosa regia che celebra un'estetica "in costume" di grande impatto visivo: Intervista col vampiro, tratto dal romanzo di Anna Rice (qui anche nelle efficaci vesti di sceneggiatrice), è una vera e propria fiaba oscura e sanguinolenta - non priva però di divagazioni etiche, incentrate soprattutto nella figura di un Louis perennemente afflitto dal rimorso. Il film gronda di una potente carica drammatica che flirta ostentatamente col genere per regalarci una delle rappresentazioni dei vampiri più efficace dai tempi del Nosferatu di Murnau. E se Jordan si dimostra abilissimo nel manovrare ambienti e situazioni, sfruttando con la giusta parsimonia gli ottimi effetti speciali, di rilievo sono anche le prove di un magneticamente sobrio Pitt e di un Cruise follemente sopra le righe. Torbido, esagerato, maestoso Sud. VOTO 9
• The Skeleton key (Iain Softley, 2005)
Colpisce con efficacia l'ambientazione della Louisiana (una delle ultime opportunità di vedere New Orleans prima della tragedia "Katrina") grazie ai cui abiti umidi e swinganti il teatro dell'azione si sposta in una casa maledetta con fattaccio annesso che forse abbiamo visto già troppe volte al cinema, ma alla quale il potenziale sgualcito del deep south che incornicia gli eventi regala un fascino e una tensione non indifferente. Ad una prima parte dall'andamento piatto ed eccessivamente preparatorio, in cui le premesse si dilatano senza soddisfare necessariamente le attese, segue una resa dei conti che ribalta le carte in tavola ammantando di nero la parola fine e riscattando la gratuità di alcune scelte di regia (i brutti flashback in puro stile videoclip in primis). Insomma, troppo levigato ma non del tutto innocuo. Sicuramente una visione valida. VOTO 7
• The Devil's Reject (Rob Zombie, 2005)
Se in un primo momento lo spettatore simpatizza infatti con la famiglia Firefly asserragliata nella fattoria come in un fortino western e detesta i poliziotti capitanati dallo sceriffo Wydell (un invasato William Forsythe), successivamente chi guarda prende le distanze anche da Otis e Baby (Bill Moseley e Sheri Moon, entrambi inopinatamente 'in parte'), fino a riconoscere la sostanziale interscambiabilità dei ruoli di vittime e carnefici. Ma il gioco degli specchi si fa ancora più complicato: una volta raggiunta la parità morale tra inseguitori e inseguiti (gli uni e gli altri ugualmente ammirabili/detestabili), sono le istanze narrative a determinare per chi parteggerà lo spettatore. Con magnifica imprevedibilità, Rob Zombie spariglia di continuo le carte in tavola: prima ci inchioda alla brutalità della vendetta personale, poi ci soccorre con un intervento gratuitamente liberatorio e infine, in una sequenza semplicemente maestrale, ci lancia in una corsa forsennata contro la legge. E il tutto è gestito con maturità stilistica che non può non emozionare: ralenti alla Peckinpah, montaggio iperframmentato, scelte musicali azzeccatissime: ogni soluzione risulta perfettamente integrata in un’opera digrignante e disperata, al contempo attacco frontale alle istituzioni e canto del cigno di un’utopia radicalmente eversiva. The Devil’s Rejects rappresenta l’America sperduta e senza più certezze, l'America contemporanea, un posto in cui padri e figli, alleati, rifiutano la morale dell’autorità, crivellandola di colpi e scagliandocisi contro con furibonda irruenza suicida, come in un romanzo del più sanguigno Cormac McCarthy. Due sequenze dannatamente esaltanti: l’omicidio iniziale di Abbie sulle note di Midnight Rider della Allman Brothers Band e il tiratissimo finale sull’incalzante, irresistibile accelerazione ritmica di Free Bird dei Lynyrd Skynyrd. VOTO 10
• We are what we are (Jim Mickle, 2014)
Il buon Jim Mickle rielabora in chiave personale una pellicola di Jorge Michel Grau, Somos lo que hay, per declinarla - con successo - in puro stile southern-gothic (per quanto, ovvio, il Delawere non sia esattamente nel Sud degli USA, ma l'«attitude» impressa al lungometraggio è esattamente figlia di quella cultura che ha fatto grandi autori come la mai troppo osannata Flannery O'Connor). Rimasticando il già ottimo materiale di partenza, il cineasta statunitense si appropria con maestria della prospettiva dell'originale made in Mexico per delineare un inquietante apologo sui mostri che popolano gli interstizi della più profonda provincia americana: fustigata da una pioggia perenne che ne avvolge i contorni in una ancor più angosciosa cappa plumbea, la storia dei Parker si sdipana lenta e inarrestabile, mettendo in rilievo con la giusta gradualità tutto l'orrore che si cela dietro la pervasiva facciata di rispettabilità ostentata con orgoglio d'altri tempi (e in fondo, a ben guardare, motore dell'intera vicenda è forse proprio la conflittuale concezione del tempo tra due generazioni: quella di Mr Parker che non ha alcun interesse ad adeguarsi al presente ostinandosi a celebrare il rito per la cena in abiti ottocenteschi imponendolo anche ai propri figli, e quella delle giovani Iris e Rose, poco più che adolescenti e in quanto tali anelanti una vita normale, più o meno consapevolmente decise a svincolarsi dall'anacronismo inoculato loro dall'appartenenza al clan: un moto di sfida che finirà per conflagare al termine del film con esiti a dir poco granguignoleschi). VOTO 10
• The Gift (Sam Raimi, 2000)
Bel thriller paranormale dall'impianto narrativo solido, The Gift si segnala anzitutto per la grande attenzione per i particolari del talentuoso (ma oggettivamente un po' discontinuo) regista Sam Raimi, in particolar modo nelle scene di matrice smaccatamente visionaria: buona parte del merito della riuscita del film è sicuramente dovuta alla lineare sceneggiatura scritta a quattro mani da Tom Epperson e dall'eclettico Billy Bob Thornton (all'epoca consorte di Angelina Jolie). Il cast poi è davvero da sturbo: spiccano la sempre immensa Cate Blanchett, un finalmente convincente Keanu Reeves in versione «redneck», il premio Oscar Hilary Swank, e le eterne promesse del cinema americano Giovanni Ribisi e Katie Holmes. Nota di merito anche per il montaggio sapiente di Bob Murawski e Arthur Coburn, in grado di regalare un giusto numero di shock - ma soprattutto di sfruttare al meglio la maestosa e decadente bellezza del paesaggio rurale della terra di Harry Crews e Flannery O'Connor per dar corpo a una originale storia di perversione e omicidio. VOTO 9