“A Baalbek le vestigia di una civiltà dimenticata”

Da Extremamente @extremamentex

 Gli appassionati di archeologia misteriosa- quel settore della ricerca alternativa che vuole riscrivere la storia dell’umanità reinterpretando le scoperte archeologiche- le conoscono bene: le rovine di Baalbek, nella valle della Beqa’ in Libano, sono certamente tra le più straordinarie testimonianze dell’antichità, patrimonio dell’umanità per l’Unesco. Specie quel basamento, nel quale sono incastonati tre blocchi giganteschi pesanti circa 800 tonnellate l’uno. Chi li ha intagliati? Chi li ha trasportati? Chi li ha messi in posa?

L’ULTIMO MONOLITE SCOPERTO A BAALBEK

Domande alle quali gli storici e gli archeologi accademici rispondono senza alcun dubbio: gli antichi Romani. Sarebbero stati loro a squadrare i megaliti nella cava distante un chilometro e a portarli nel luogo in cui edificarono il grandioso complesso templare di cui ancora oggi rimangono importanti resti. In particolare, il tempio di Giove Eliopolitano, costruito proprio su quel basamento ai tempi di Nerone.

Punto sul quale i ricercatori alternativi si oppongono tenacemente: i Romani, dicono, trovarono già quelle mura ciclopiche, costruite da una qualche civiltà precedente. Semplicemente, le sfruttarono per innalzare al di sopra di esse i loro santuari nella città che in quel periodo era chiamata Heliopolis ed era il centro principale della provincia di Siria. Lo pensa anche Graham Hancock, notissimo esponente di questa corrente di pensiero.

Nel luglio scorso, lo scrittore britannico ha visitato Baalbek e ha visto l’ultima scoperta: nella cava di pietra utilizzata dagli antichi costruttori, è stato individuato un nuovo, eccezionale pietrone appena sbozzato e poi abbandonato in sito. È il terzo del genere trovato negli anni. Il più famoso è quello denominato “la pietra della gestante”- peso stimato, 1000 tonnellate- che emerge dal terreno per oltre due terzi. Accanto a questo mastodontico masso si sono fatti immortalare migliaia di turisti.

Il secondo megalite, intagliato ma rimasto nella roccia, è ancora più grande: secondo le stime, peserebbe 1200 tonnellate. Eppure, l’ultimo- quello appena riportato alla luce- supera tutti gli altri. Secondo un’equipe dell’Istituto di Archeologia di Germania, è lungo 19,60 metri, largo 6 e alto almeno 5,5. Se fosse stato completamente tagliato, avrebbe avuto un peso record: 1650 tonnellate.

L’ENORME BLOCCO DETTO “PIETRA DELLA PREGNANTE”

Secondo Hancock, però, l’archeologia ufficiale sbaglia a pensare che siano stati i Romani a scavare questi megaliti e poi a dimenticarli lì, per una qualche ragione sconosciuta. A suo avviso, si tratta invece dell’opera di una civiltà di cui non conserviamo memoria, sviluppatasi molto tempo prima, forse 12 mila anni fa. Anzi, suggerisce un legame tra questi reperti e Gobekli Tepe, la località turca nella quale è stato scoperto un antichissimo e ancora misterioso complesso templare talmente vasto che ci vorranno ancora molti anni prima che sia interamente dissotterrato.

Nell’articolo pubblicato sul suo sito, che costituisce un’anticipazione del libro in lavorazione “Magicians of the Gods”, Graham Hancock scrive: “ Io ipotizzo che stiamo vedendo l’opera dei sopravvissuti di una civiltà perduta, che i Romani costruirono il loro Tempio di Giove su un basamento preesistente antico di 12 mila anni e che essi non erano al corrente di quei giganteschi megaliti intagliati nella vecchia cava perché ai loro tempi erano coperti da uno strato di detriti ( proprio come ne era ricoperto finora l’ultimo blocco appena trovato)”.

In pratica, dice l’autore, se li avessero scavati i Romani, non avrebbero lasciato il lavoro a metà e li avrebbero messi in posa. Se non avessero potuto completarli,  in virtù del loro senso pratico, avrebbero comunque trovato un’altra soluzione: li avrebbero spaccati e riutilizzati in pietre più piccole. Invece, evidentemente, i Romani ne ignoravano l’esistenza e quei blocchi eccezionali sono rimasti lì.

Hancock è altrettanto certo che non furono loro né ad intagliare, né ad utilizzare i tre grandi massi collocati nel basamento del tempio, noti con il nome greco trilithon. “Sono cosciente che megaliti anche più grandi di questi, ad esempio la cosiddetta Pietra Tuono di San Pietroburgo, sono stati spostati e posizionati sulla superficie piana in tempi storici, ma spostare e posizionare tre megaliti di 800 tonnellate ad una altezza di circa 6 metri dal terreno, come nel caso di Baalbek, è completamente diverso.”

IL TRILITHON PARAGONATO A DUE PERSONE

Ma se i grandi costruttori del Colosseo e degli acquedotti- molti tuttora funzionanti- non possedevano la tecnologia in grado di mettere in posa quei blocchi giganteschi, come poteva possederla una civiltà ancora più antica? Per Hancock, è possibile, se si pensa ad una cultura evoluta, di raffinato livello tecnico, con conoscenze molto avanzate, annientata da una catastrofe globale: la fine dell’era glaciale.

 Circa 10 mila anni fa, il cambiamento climatico fece sciogliere in modo molto rapido la spessa coltre di ghiaccio che ricopriva gran parte dell’emisfero nord. Tutta quell’acqua fece salire all’improvviso il livello dei mari e ricoprì le coste, trasformando per sempre il profilo dei continenti. Si verificarono ovunque  alluvioni di dimensioni talmente devastanti, da rimanere impresse per sempre nella memoria collettiva dell’umanità.


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