Insieme a Saverio Costanzo, Luca Guadagnino è senza dubbio il meno italiano tra i registi italiani. Zoomate improvvise, invasività della macchina da presa, insomma lo stile di chi vuole apparire e impressionare a tutti i costi. I fischi lo accolsero al Lido di Venezia con Io sono l’amore nel 2005 e non lo abbandonano neppure nel 2015 quando sbarca in Concorso con A bigger splash. Ora la domanda è: i fischi sono giustificati?
Perché Luca Guadagnino, diciamolo, più che un regista, è un esibizionista. Il suo cinema è esibizione ed esibizionismo, voglia di divertirsi ed apparire più che raccontare, confezione più che contenuto. Il suo stile pop e rock’n’roll allo stesso tempo aggredisce e importuna lo spettatore, un po’ come la prova attoriale e il personaggio interpretato da Ralph Fiennes, vero alter ego on screen dell’estro del cineasta. A bigger splash, proprio come Harry (Ralph Fiennes), è eccentrico e iperattivo, e dietro questa faccia(ta) nasconde ben poco e anche lascia ben poco. Il colpo di scena arriva all’improvviso, non preparato in alcun modo a livello narrativo, segnale di come Guadagnino viva in modo onanistico il suo “gioco” e giocattolo del cinema, che non contempla minimamente lo spettatore.
Ma la cosa paradossale, è che nonostante quanto già detto, pur con tutti i suoi lati negativi, il colorato e frenetico A bigger splash è il migliore tra i film di Guadagnino. Infatti, a differenza dei film precedenti, è un film che almeno nella prima parte si fa guardare (o sa farsi guardare).
Insomma, A bigger splash se non proprio un buco nell’acqua, quantomeno è un tuffo in una piscina vuota. E lo splash, o forse sarebbe meglio dire lo splat, è la rovinosa caduta di Luca Guadagnino.
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