A che serve leggere?

Creato il 06 settembre 2012 da Temperamente

Prendo spunto per questo intervento dal post che una mia amica ha scritto sul suo blog qualche tempo fa. Lei piuttosto si domandava perché leggere, sollecitata nelle sue riflessioni dalla domanda di un avventore del bar dove lavora, il quale le aveva domandato – senza troppo girarci attorno – chi glielo facesse fare a fagocitare ‘mattoni’ come quello che aveva visto riposto sul bancone del locale e di proprietà della ragazza.
In questa sede non voglio soffermarmi a dare una risposta a un interrogativo che molti lettori si sentono fare almeno una volta nella vita. Solo per la cronaca, vi dirò che leggo per non sentirmi ignorante, per capire parole, frasi, discorsi, per poter utilizzare ciò che leggo nella vita di ogni giorno, citare autori, rendere più ricco il mio vocabolario.
Non sono tra quelli che adducono motivazioni poetiche come «Leggere per me ha la stessa importanza che respirare», «Leggere mi arricchisce interiormente». Non nego che per tanti sia così, ma io sono una persona pratica e un po’ opportunista, quindi prendo dai libri ciò che mi serve: conoscenza. Poi, che a questa parola si possano dare molteplici significati e quale sia quello che gli attribuisco io è un argomento che forse approfondirò in altre occasioni.
Tornando a noi, preferirei capire piuttosto se leggere serva effettivamente a qualcosa. A uno scopo nobile, intendo.
Frequento gruppi di lettura, forum e blog letterari e pagine Facebook che si occupano di libri e ogni volta ho la triste sensazione che per i lettori che io definisco (con accezione negativa) ‘compulsivi’ leggere sia una corsa contro il tempo o una gara a chi ingurgita (metaforicamente parlando) più libri.
Vedo, in questi contesti in cui si riuniscono consimili, un bisogno spasmodico di dimostrare quanto lunghi siano gli scaffali della propria libreria, quanto grosso sia l’ultimo romanzo letto, quanto sia durata la prestazione di lettore. Sì, la cosiddetta invidia del pene può applicarsi tranquillamente a molti lettori affetti – tanto per restare nell’ambito della stessa metafora sessuale – da ansia da prestazione.
Proprio qualche giorno fa ho visto in Rete la fotografia di una giovane lettrice che affermava di aver letto, in soli quindici giorni di vacanza, sette libri (e uno di questi era It di Stephen King, un volume di oltre 1300 pagine). Le ho creduto? Certamente no.
Non soltanto non riesco a cogliere il bisogno di ostentare il quantitativo di libri letti in tempi record, ma non mi riesce facile credere che questi lettori iperattivi e voracissimi afferrino effettivamente il senso di ciò che leggono e assaporino autenticamente il significato di ogni parola, spesso sudata, sofferta, soprattutto meditata dall’autore.
Questi lettori soffrono di un’altra sindrome: la bulimia da libri. Li divorano senza assaporarne il gusto e poi ne vomitano il contenuto in orgogliose foto da postare sui social network.
Questo il primo punto della mia riflessione.
Il secondo è legato alle tante discussioni che vedo accendersi sui forum e sui social, durante le quali i lettori contendenti tirano fuori il peggio di sé, sfoderando epiteti offensivi, livore, frustrazione e un vasto repertorio di razzismo, omofobia, misoginia e chi più ne ha più ne metta. E tutto per far valere la propria opinione circa un libro o un autore.
E allora mi domando davvero: a che serve leggere?
Cosa ha insegnato la lettura a queste persone? Non di certo il rispetto per gli altri, la condivisione delle idee, l’apertura verso altre culture, l’opporsi ai tabu sociali. La lettura, in questi casi, non è forse un’attività superflua, uno spreco di tempo che potrebbe essere meglio impiegato?  È giusto considerare queste persone dei veri lettori.
I libri sono ali che ci permettono di volare verso orizzonti inesplorati, o catene che ci tengono legati in una prigione di inutili speculazioni e incrollabile superbia intellettuale?

Angela Pansini


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