Con il senno del poi, a cose fatte, o, per citare il sempre amabile Hegel, "dopo che la nottola di Minerva ha preso il volo sul far del crepuscolo", è facile immaginare che quando il filosofo parla si rivolge all'umanità intera. Ma ve lo figurate voi uno Schopenahuer che, mentre scrive il "Mondo come volontà e rappresentazione", ha in mente la povera vecchietta che poco tempo prima aveva tentato di far ruzzolare per le scale perchè il suo chiacchiericcio disturbava la sua meditazione? Il filosofo quando parla non ha forse in mente un suo ideale di umanità da cui viene escluso tutto il resto? O crediamo davvero che i filosofi siano un genere di persone che Dio ha creato il settimo giorno (quando riposava e meditava) perché fossero al servizio dell'umanità? A scuola, un buon docente di filosofia spiega ai suoi discenti a chi il filosofo si rivolge quando parla? E per bocca di chi parla?
Spesse volte il filosofo si è sentito il rappresentante in terra dello Spirito. In tal senso credo che il campione di questa rappresentazione sia stato Hegel, un arrogante svevo che credeva di incarnare lo spirito del mondo sulla terra. Così almeno lo vedeva Nietzsche. E forse non aveva poi tutti i torti a dire che era difficile pensare che lo Spirito parlasse per bocca di Hegel. Ma a chi si rivolgeva Hegel quando parlava? All'umanità intera noi pensiamo, a quella umanità unificata da Kant con il suo concetto di Ragion pura. Ma no! Certamente non a quella parte di umanità, forse la parte maggiore, che viveva ancora in simbiosi con la natura, che non era ancora riuscita a distaccarsi da essa, ad elevarsi dalla materia sensibile alla forma intellegibile dello Spirito. L'umanità anfibia, potremmo dire. Povera umanità! Ancora vincolata a suoi istinti naturali! Sarebbe riuscita un giorno questa umanità a liberarsi dal puro bisogno materiale ed intraprendere il lungo ma faticoso cammino dello Spirito? Non credo. Per Hegel, lo Spirito aveva compiuto il suo cammino, e s'era fermato a Berlino. Gli altri non potevano fare altro che ripercorrerlo, ma ormai il ciclo era compiuto. L'Universalità era posta. Ma cos'è questa benedetta universalità di cui i filosofi si riempiono la bocca?
L’universalità alla quale il filosofo si richiama presenta una duplice natura. Agli occhi della sua mente, tale universalità è soggettiva per un verso, e oggettiva per un altro. L’universalità è soggettiva quando il discorso del filosofo si rivolge a tutti i suoi simili. Anche se non tutti i simili sono uguali fra loro. Eraclito può parlare in nome di un logos comune, ma sa anche che non tutti gli uomini sono capaci di riconoscerlo “sia prima di averlo ascoltato, sia subito dopo averlo ascoltato” (Diels, 22 B, 1). La verità è una, anche se i molti si ostinano a credere che esistono tante verità. Platone o Socrate non ritenevano di parlare all’umanità intera, non avevano intenzione di convincere tutti gli uomini della esistenza e bontà del Sommo Bene. E non parlavano neanche a tutti gli abitanti della città ateniese: non agli schiavi o ai meteci. Socrate parlava a tutti i cittadini ateniesi; Platone neanche a tutti, ma solo a coloro che erano guidati dall’anima razionale o irascibile, ai filosofi o guerrieri virtuali, perché il resto della popolazione, secondo il Nostro, si lasciava sedurre dall'anima "concupiscibile" (che brutta parola!). E Aristotele, l'educatore di Alessandro Magno, a chi si rivolgeva quando insegnava al suo discepolo prediletto a compiere la missione civilizzatrice dell'Ellenismo? Si rivolgeva forse al povero animale parlante che sgobbava nel suo liceo, a tagliare l'erba, mentre lui insegnava passeggiando le quattro virtù cardinali?
A volte il filosofo non parla neppure ai suoi contemporanei. Nietzsche per sua stessa ammissione è inattuale, e scrive con Zarathustra una filosofia per tutti o per nessuno. Per Nietzsche/Zarathustra certe dottrine possono essere comunicate a tutti, certe altre solo a “chi parla”, vale a dire a Zarathustra medesimo. È importante saper in nome di chi il filosofo parla e a chi si rivolge il suo discorso. Può darsi che, in effetti, i valori affermati dal filosofo in quel dato momento storico siano al di fuori del suo gruppo di appartenenza, cioè che non siano per intanto riconosciuti e condivisi dal suo stesso gruppo. Rimane il fatto che sebbene non riesca ad ottenerlo nell’oggi, tuttavia è desiderio del filosofo suscitare tra i suoi simili un consenso intorno ai valori ch’egli ha concretizzato nel suo discorso.
A chi si rivolge il filosofo e a nome di chi parla...
Creato il 24 agosto 2010 da Bruno Corino @CorinoBrunoPossono interessarti anche questi articoli :
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