A Comacchio: Riso all’Anguilla!

Da Tuttacronaca

Quando  sta per arrivare  al mare, il Po perde la sua identità di grande e solenne  fiume e diventa un  groviglio di canali e di paludi dove quasi a perdita d’occhio, affiorano isole e isolotti ricoperte di canne. Ci pensarono gli abili mercanti  Etruschi  circa 500 anni prima di Cristo a insediarsi nella zona. Una questione di convenienza, perchè i commerci con la Grecia erano molto  più rapidi dall’Adriatico piuttosto che dal Tirreno. La città  famosa era Spina, su cui  però fiorirono presto le leggende perchè si interrò e se ne persero le tracce, fino a pochi decenni fa. Comacchio era più piccola e meno importante, ma riuscì a difendere dalle acque e dagli uomini quelle 13 isolette unite dai ponticelli, che sono tutta la sua essenza ormai millenaria.  Nonostante la caduta dell’Impero Romano, sino al secolo IX se la cavò benissimo  con i Longobardi e  il commercio del sale, di cui il mare gli riempiva le terre, penetrando nei mille anfratti della laguna.  Ma non aveva fatto i conti con Venezia, una rivale emergente, anch’essa, dalle acque  e troppo gelosa della flotta di Comacchio per lasciarla in pace. Così distrussero la città parecchie volte, ma Comacchio miracolosamente tornava a vivere perché oltre le saline aveva un’altra risorsa, l’Anguilla, una pesca miracolosa!

Stranissimo destino quella dell’Anguilla! Un’animale dalle grandi avventure marine di cui nessuno è riuscito a capire la  commovente e misteriosa vicenda. Sono  ancora  piccole larve, quando lasciano, senza girarsi nemmeno una volta indietro, le calde acque del Mar dei Sargassi dove sono nate e, come una tribù nomade in cerca della terra promessa, traversano tutto l’Oceano Atlantico e si vanno a infilare nelle nebbie  umide della Val Padana. Li nelle acque  di Comacchio trascorrono l’ adolescenza e la prima giovinezza, poi dopo quasi 15 anni se ne rivanno e col loro istinto infallibile lasciano il Mediterraneo e tornano a ritroso nel mar dei Sargassi. Solo li si  accoppiano, si riproducono e, quasi subito, muoiono.

Ma solo una parte ce la fa a uscire dalla palude perchè  la gente della Valle ha da secoli bisogno dell’anguilla per sopravvivere e ha inventato  trappole di straordinaria efficacia per impigliarle e catturarle, proprio nel momento in cui raggiunta la maturità e pronte per la fuga hanno carni sode e saporitissime. Si chiama “lavoriero”  quell’insolita freccia di pali e canne affondata nella laguna che caratterizza  con le sue forme triangolari tutto il paesaggio, studiata per far entrare i  pesci ma impedir loro di andarsene.  Ce ne ha lasciato  una vivacissima descrizione  il Tasso nella “Gerusalemme Liberata” “Come il pesce colà dove impaluda/ nei seni di Comacchio il nostro Mare/ fugge da l’onda impetuosa e cruda/ cercando in placide acque riparare/ e vien che da se stesso ei si rinchiuda/ in palustre prigion né può tornare/ che quel serraglio é con mirabil uso/ sempre all’entrare aperto, a l’uscir chiuso.”

Poi la storia per Comacchio si fa drammatica alla fine del 13° secolo quando passa sotto il dominio della Casa Estense. Pochi decenni dopo  i comacchiesi non sono più liberi di pescare perchè gli Estensi si prendono il Monopolio. Qualcuno lavora per loro come “Vallante”, ma  la maggior parte viene esclusa. C’erano poche alternative. O morirsi di fame o pescare di frodo E così fu. Le cose non cambiarono di un centimetro nemmeno quando il Ducato degli Estensi alla fine del 16° secolo passò in proprietà dello Stato della Chiesa e lì ci rimase fino all’Unità d’Italia del 1860. Monopolio era e monopolio rimase. Ma il pescatore di frodo,” Il Fiocinino,” è rimasta una figura mitica, un personaggio sfuggente, che nell’oscurità della notte e della nebbia, pescava con la sua barchetta leggerissima, soprannominata “saltafossi” che, in caso di guardie in vista, si caricava sulle spalle e passava da un argine all’altro, nascondendosi fra le canne e l’erba. Ci sono pochi mesi freddi  per pescare l’anguilla e il “Fiocinino” esce quando il tempo è  più brutto perchè è il momento in cui le anguille escono dal fango in cerca del mare aperto.Poi la mattina, ” il Fiocinino” quando torna in paese, spesso deve dividere  la pesca col Grisolino, l’addetto al lavoriero, che gli ha lasciato … qualche falla aperta. Spesso lo catturano le guardie inviate dal monopolio e sono guai.Il “Fiocinino” finisce  spesso in prigione. Per fortuna qualche volta i sorveglianti chiudono un ‘occhio, anzi tutti e due perchè di notte il pescatore di frodo esce dal carcere, pesca, vende le anguille e torna in carcere sul far dell’alba.

Ma non era partcolarmente facile la vita nemmeno per il Vallante, quello che lavorava “in regola ” per il Consorzio. Per quei mesi invernali in cui  si pescava andavano a vivere in comunità nei “casoni,” quei bassi  rettangoli rossastri dall’alto camino, appoggiati sugli isolotti sperduti, che oggi i turisti  vanno a visitare come esempi di archeologia industriale. Stavano  lì in mezzo al freddo e all’umido con turni di circa un mese e quando tornavano a casa erano talmente abbrutiti che si fermavano  prima  in un isolotto  da quelle  parti, che spiritosamente chiamavano “Fattibello” dove c’era acqua e barbiere per rimettersi un po’ in sesto.

Che fine faceva la grande pesca del  Monopolio? Una parte  veniva caricata su barche con doppiofondo pieno d’acqua e, ancora vive, le anguille  arrivavano nei porti dell’adriatico e del Tirreno, anche fino a Napoli.Il resto,veniva portato a Comacchio nella grande “Sala del fuoco” dove le anguille venivano selezionate, tagliate a pezzi e infilzate in lunghi spiedi sospesi a un girarrosto che ne sosteneva sino a 12. A cottura ultimata, disposte in barili con una speciale salamoia erano pronte per la distribuzine.Oggi adoperano anche scatole di latta di piccole dimensioni ,ma  la tecnica della conservazione a Comacchio è perfetta da parecchi secoli. Per il resto dell’anguilla non si buttava niente. Il grasso che colava durante la cottura veniva raccolto e serviva per l’illuminazione,  la pelle essiccata serviva fer fare lacci alle scarpe, le teste e le code restavano alle famiglie dei fiocinini, le trippe d’anguilla erano una prelibatezza e le lische del pesce si mangiavano fritte e croccanti.

Cos’è rimasto oggi di quel mondo ancestrale? Una vita più umana per i pescatori e un’industria conserviera, che con poche innovazioni distribuisce in tutto il mondo. Un paesaggio che ha del miracoloso  nella sua varietà e nella sua dolcezza infinita, con i casoni che fanno la guardia  al territorio e gli uccelli, ancora 300 speci che qui svernano o ci restano anche tutto l’anno come i fenicoiteri.

Poi ci sono le memorie, quella di Garibaldi  che sfugge agli sbirri del Papa e si rifugia nella palude con la moglie morente, quelle dell’Agnese, la partigiana del romanzo autobiografico di Renata Viganò, che in uno dei casoni aveva casa,  i drammatici  personaggi   di “Ossessione” e ” Il Grido”, i film che quì  girò Michelangelo Antonioni  nel grigio inverno della laguna e,  infine a contrasto, la prorompente bellezza di  una giovanissima  Sofia Loren che ne “La Donna del Fiume” issa la scatola delle anguille come una bandiera.

Oggi  Comacchio è bellissima e intatta con i suoi ponti, i suoi canali i  palazzi antichi e un favoloso Carnevale. Da queste parti bisogna proprio  venirci!  Cè una bellezza nelle cose e una gentilezza nelle persone che toccano entrambe il cuore …e una cucina gustosa e leggera al tempo stesso, dove il pesce e soprattutto l’anguilla, cucinata in mille modi, la fa da padrona. Fra le tante ricette della zona abbiamo scelto ,una fra le più rappresentative e delicate:

RISOTTO CON L’ANGUILLA

INGREDIENTI (per 4 persone): 250 grammi di riso, 2 anguille da 350 grammi ciascuna, 70 grammi di formaggio grana padano, 20 grammi di pecorino, 1 cipolla, 1 fettina di lardo di circa 50 grammi, noce moscata, sale, 1 carota, 1 zucchina, 1 gambo di sedano.

PREPARAZIONE: si fissano le anguille su un’asse di legno con un punteruolo, si aprono e dopo aver estratta la lisca e tolte le interiora, si sciacquano sotto l’acqua corrente. Si eseguono poi dei tagli trasversali che consentono di staccare meglio la polpa dalla pelle. Si prepara un brodo  con 1 litro abbondante di acqua immergendovi la pelle, le teste e le lische e unendo il sedano, la carota e 1/2 cipolla. Si schiuma anche più volte nelle prime fasi della cottura e si lascia sulla fiamma a calore moderato per circa 3/4 di ora. Se è necessario, durante la cottura si aggiunge altra acqua.

In una teglia a parte si fa soffriggere l’altra mezza cipolla con il lardo tagliato a tocchetti, aggiungendovi un po’ di brodo a cui si aggiungerà, una volta che il lardo si sia appena colorito, la polpa sminuzzata delle anguille, (lasciando da parte 4 tocchetti della lunghezza di 2 cm ciascuno che serviranno per la decorazione) e si fanno cuocere per circa 20 minuti. Dopo si aggiunge il riso, si copre con il brodo e lo si fa cuocere   seguitando  a coprirlo con poco brodo per non farlo bruciare. Verso la fine si aggiunge un pizzico di sale.

A parte si grattugiano i due formaggi insieme alla noce moscata e qualche minuto prima del termine della cottura si aggiungono al riso. Si serve caldo decorando ogni piatto alla sommità con una striscia arrotolata di zucchina grigliata e un tocchetto di anguilla.



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