A Contatto con la natura

Da Antonio

Quando cresci per 14 anni circa, a poco più di un metro (e non parlo in termini figurati) con un rigoglioso bosco di montagna, anzi no meglio dire “Boschetto”, in modo da rendere anche il quartiere e tutti gli indimenticabili personaggi che lo popolavano parte integrante d’un ricordo, manco a dirlo, sempreverde, ti rendi conto che la natura è davvero una parte importante di quello che sei. Le passeggiate esplorative tra querce maestose e castagni presi d’assalto alle prime avvisaglie autunnali, per accaparrarsi le gustose perle che racchiudevano, evocano emozioni che il passare del tempo non ha affatto cancellato. Il suono del vento tra gli alberi, il profumo della menta e quello del finocchietto selvatico, le sorprendenti piccole scoperte che ogni pomeriggio ci stupivano, fosse uno sconosciuto sentiero celato dai rovi, o un uccellino caduto dal nido, ma anche quel prato che, nascosto agli occhi dei “grandi”, ci regalava piccole ma gustosissime fragoline di bosco, che afferravamo con la stessa bramosia con la quale un cercatore d’oro si riempie le tasche di luccicanti pepite. Come dimenticare poi gli infiniti pomeriggi trascorsi a cogliere le more, oppure la fastidiosa scoperta delle ortiche. C’era poi quell’alberello di pere sotto il quale ci si appostava per dolcissime soste alla ricerca magari di un quadrifoglio (ne avessi mai trovato uno!) mentre si pianificava la caccia ad uno dei malcapitati animaletti che popolavano quel silenzioso microcosmo. Con l’arrivo dell’autunno poi c’erano i funghi da ricercare, quanto meno i chiodini, forse i più semplici da riconoscere. Dopo un bell’acquazzone ci si incamminava per un sentiero che sbucava dove preistorici (quella almeno era sempre stata la mia innocente convinzione) tronchi d’albero dormienti, nascondevano il prezioso bottino, che andava obbligatoriamente sottoposto ad un rigoroso controllo casalingo prima d’essere mangiato in un fumante risotto serale. Quando poi l’atmosfera natalizia si faceva sempre più intensa iniziava la corsa ad accaparrarsi il muschio per fare il presepe. Pietre d’ogni forma e dimensione andavano ispezionate con cura prima che gli amichetti facessero altrettanto. Nella speranza di portarne una parte anche a scuola.

Ripensando a tutti quei bellissimi momenti, attimi di semplicità che riempivano le giornate di ragazzini che non avevano certo l’agenda piena delle cazzate d’oggigiorno, non posso fare a meno di associarli alla semplicità d’una natura che era vissuta con gli occhi curiosi di chi scopriva dal vivo (e non sul wallpaper di un pc, manco s’aveva l’idea del pc!) uno qualunque dei pezzi di un puzzle che non si finiva mai di completare. Ovviamente poi crescendo il rapporto con l’ambiente lo si vive con un diverso spirito, ma l’imprinting ricevuto condiziona (e meno male!) per sempre l’approccio con un mondo che ora come ora si ha il dovere di preservare affinché le nuove generazioni possano godere della gioia che regala la corsa in un capo di grano o la rinfrescante sosta sulle sponde di un piccolo ruscelletto di montagna, unica esperienza che non ho avuto il piacere di fare in quegli anni di spensieratezza.

Da grandicello ho vissuto il campeggio scolastico, anche se più che un campeggio era una specie di colonia estiva. Mi son divertito, certo, ma non appassionato più di tanto. Trovavo ormai quel contatto col verde poco stimolante per quella che all’epoca era la mia personalità. Quando ormai m’ero convinto che le sensazioni di quei tempi non potessero più essere rivissute, mi son trovato a fare una passeggiatina nel ventre della montagna, seguendo il corso pietroso di un ruscello d’acqua sorgente. È stata una mattinata gratificante. I raggi del sole che filtravano tra le foglie degli alberi, custodi degli speroni di roccia tra i quali ci si insinuava, giocavano con le goccioline d’acqua che una dietro l’altra cadevano giù da una morbida parete muschiosa. L’acqua era freddissima e l’immancabile sosta per rinfrescare piedi, caviglie, ginocchia (basta poi, non esageriamo) si è rivelata alquanto bizzarra. Camminando lungo il sentiero ho riassaporato la quiete d’una passeggiata in montagna, suoni e odori rimandavano a continui flash-back del passato fin quando lo scenario che maestoso s’apriva dinnanzi agli occhi non solo toglieva il respiro, ma svuotava la mente. Una piccolissima cascata, o forse era grande dipende dai punti di vista, catturava col suo maestoso fragore la mia attenzione. La gola è piccolina, così come il ruscello, eppure è uno spettacolo incredibile. Mi lascio sfiorare dalla sua forza, salvo poi sedermi non lontano a pensare. Non c’è bisogno di affacciarsi dal Grand Canyon o di sorvolare le cascate del Niagara per assaporare un genuino e diretto contatto con la natura. Basta davvero poco per godere della simbiosi d’un momento. E quando riesci a riconoscere quel “poco” ti avvicini a Dio più di quanto non avresti mai immaginato. Che meravigliose emozioni offre la natura! Felice ritorni a casa rimuginando sul morale della giornata, che non hai difficoltà a distillare dopo una mattinata come questa. Nella vita è bene saper riconoscere le “piccole bellezze” che incontriamo sul nostro cammino, perché potrebbero essere tesori inestimabili che difficilmente (e sono stato ottimista) avremo più l’opportunità di goderci.



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