A cosa serve un professionista?

Da Marcofre

Un po’ tutti affermano che l’autopubblicazione deve essere di qualità, se vogliamo essere presi sul serio da chi si avvicina alle nostre storie.

E io sono d’accordo, ci mancherebbe altro. Sarei un folle se la pensassi in maniera differente.

Poi però mi capitano sotto il naso frasi del genere:

Sicché il parafango non è quella cosa che sta sul davanti? E io ero convinta che il parafango stesse davanti e il paraurti dietro.

A scrivere così è Flannery O’Connor; si tratta di una brano di una sua lettera, contenuta nel libro “Sola a presidiare la fortezza” (editore Minimum Fax).

Come sanno anche i paracarri, è stata una delle più importanti scrittrici statunitensi. Pubblicava con fior di editori. Che avevano sul libro paga fior di professionisti (be,’ si spera).

Ma il professionista che ha fatto l’editing del racconto “Greenleaf”, non conosceva la differenza tra paraurti e parafango. E qui il mio sopracciglio destro si alza, ed esclamo un: “Poffare!”

Lo so quello che vuoi dire: che un errore scappa a tutti. Succede. Siamo esseri umani soggetti all’errore.

Infatti, come dico spesso, lo scrittore non deve produrre la perfezione. Ma una storia che funzioni.
I professionisti alle sue spalle, lo possono aiutare a vedere quello che non riuscirebbe a scorgere nemmeno se l’oggetto fosse lampeggiante.

Chi decide di essere editore di se stesso… Deve scovare qualcuno che, sì, conosca la differenza tra paraurti e parafango. E non solo.

Nella revisione dei miei nuovi racconti, mi sono incartato in una faccenda di contratti e volture. Certo, c’è il Web, basta digitare e…

Però sentire una voce, che magari conosce anche certi trucchi, aiuta parecchio. Poi, ho deciso di agire in maniera differente, e vedremo se sarà efficace la mia soluzione.

A questo punto potrei iniziare con una critica, magari circostanziata, sulle case editrici che sbagliano, ma non lo farò. Chi scrive deve confezionare una buona storia, prima di ogni altra cosa. L’idea che il professionista possa fare miracoli, è folle.

Il buon Guy Kawasaki, imprenditore, ex evangelista Apple, è conosciuto per il suo “tocco magico”. Si dice che il tocco di Guy, trasformi in oro quello che tocca. Parliamo di start-up, di gente che va da lui a chiedere consigli e dritte, a presentargli idee imprenditoriali destinate forse a fare fortuna.

Ma lui, al contrario, afferma che tocca quello che è già oro.


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