A Day in the life (parte seconda)
Creato il 25 giugno 2011 da Tizianogb
Clicca qui per la prima parte di A Day in the Life...Cicciobello nudista avanzò d’un tratto mezzo passo, allungando una mano dalle sue parti. Questo lo fece cagare sotto parecchio. Enrico sobbalzò all’indietro per un paio di metri e per poco non finì giù dalla finestra, con tanti saluti a tutti... Allungò le braccia dinanzi a sé, rianimato dall’aver scampato la morte più stupida del mondo ad opera di un grassone nudo, probabilmente matto da legare, e avanzando verso il ciccione si preparò a stenderlo, o perlomeno a scansarlo di qualche centimetro per poter così filarsela a gambe levate. Quello lì, però, pareva solamente volergli stringere la mano.“ Il mio nome è Mario.” Disse.Enrico evitò la mano dell’uomo semplicemente ignorandola.“ Cosa ci fa nel mio ufficio?” E completamente nudo, poi… L’uomo lo fissò con occhi spalancati. Fece un altro passo avanti. La sua pancia traballò mollemente.“ Mi stanno inseguendo.” Spiegò, con la faccia più seria del mondo.Chiaro. Non faceva una piega. Lo stavano inseguendo, certo. Probabilmente a cavallo di dieci cammelli da monta. Adesso sì, che si spiegava tutto. Giornata di merda…Fu sul punto di ribattere qualcosa al povero idiota, ma in quell’esatto istante la porta del suo ufficio si spalancò e quattro uomini entrarono decisi, invadendo la stanza. Uno dei quattro era il suo capo.“ Signor Rozza, mantenga la calma…”Il grassone nudo strillò non appena gli misero le mani addosso. Un grido disperato che pareva lo stessero squartando con una sega circolare. Molto melodrammatico. Dovettero mettersi in tre, per portarlo via di lì. Era come se fosse indemoniato. Enrico lo guardò uscire dal suo ufficio aspettandosi da un momento all’altro che questo girasse la testa di centottanta gradi, per vomitargli in faccia crema di piselli andata a male. Chissà perché, poi, in faccia a lui e non al suo capo...“ Quell’uomo è un pazzo.” Asserì il direttore non appena l’uomo e le sue grida furono abbastanza lontane da non udirle quasi. Evidentemente, tentava in qualche maniera di spiegargli l’intera faccenda nel modo più semplice possibile. Come se avesse a che fare con un bambino.Enrico non seppe se prenderla come un’offesa o che altro, quindi rimase zitto. “ Ora tutto è risolto. Torni pure a lavorare, Rozza…” il direttore gli diede una pacca sulle spalle che per poco non gli fece fare un tuffo carpiato in avanti con piroetta e se ne uscì anche lui, lasciandolo solo nel suo ufficio insieme alla pioggia che entrava dalla finestra. Quello stronzo non gli aveva neppure chiesto se si fosse spaventato o meno. Enrico chiuse la finestra e si sedette al suo solito posto di fronte al computer. Con un sospiro rassegnato si rimise al lavoro. Erano già le dieci passate e doveva ancora leggere la corrispondenza. Se andava avanti di quel passo, non sarebbe tornato a casa prima delle nove.A meno che… Si ricordò che uno del settore contabilità gli doveva un favore. Un giorno lo aveva sotituito per un paio d’ore per una visita di emergenza. Probabilmente l’amante. Stracciò le buste e le gettò insieme al loro contenuto nel cestino della carta straccia.L’ufficio di quel tipo… Gianni, se non ricordava male… il suo ufficio era al secondo piano. Gianni Micalta... o Mecalta…Lo trovò quasi subito. Niente male per esserci stato una sola volta in vita sua. Bussò un paio di tocchi alla porta e stette in attesa. Si sentì un rumore come se qualcosa di molto pesante fosse caduto sul pavimento, poi qualcuno tossì e aprì la finestra. Enrico intuì quell’ultimo gesto non solo per via del rumore ma anche per il leggero spostamento della porta, come accade di solito a tutte le porte chiuse quando una finestra viene spalancata all’improvviso. Specie se fuori c’è il vento. In ogni caso, prima di entrare aspettò una risposta dall’altra parte. Non ce ne fu bisogno perché Micalta aprì di lì a poco, avvolto da una nuvola di fumo che si andava esaurendo e sembrava stesse uscendo dai suoi stessi capelli. Una cosa davvero spettacolare.Enrico pensò di saltare i preamboli e di dire subito il motivo per cui era andato fino a lì. Oltretutto, sembrava che il Micalta non fosse molto in forma, dato che aveva due occhi rossi allucinanti e lo guardava con aria inebetita ed insieme scocciata. Meglio puntare dritto al sodo, quindi. Non si salutarono neppure.“ Ho bisogno di un favore.” “ Che genere di favore?”“ Mi servono un paio d’ore del tuo tempo.”“ Hai bisogno di un autista?”“ Che cosa diavolo c’entra un'autista?”“ Pensavo che tu ne avessi bisogno uno.”“ Mai parlato di autisti…” Si guardarono con reciproca indifferenza in perfetto silenzio per un minuto buono – nessuno dei due si azzardò a dire bah! - poi Enrico decise di interrompere quella situazione paradossale con un perentorio colpo di tosse, seguito da un’altrettanto perentoria spiegazione dei suoi perché e dei suoi percome. “ Mi dovresti seguire la pratica Bertotti… è una proroga di scadenza, niente di particolare… se dovessi impiegarci più di due ore…”“ Adesso non ho tempo.” Lo interruppe l’altro senza dargli il tempo di finire.“ Ma guarda che… ti assicuro, è una pratica brevissima…”“ Non ho tempo. Ciao.”Gli sbattè la porta in faccia.“ Mi devi un favore, ricordatelo!”“ Ma vaffanculo!”“ Cosa… cosa hai detto?”“ Ho detto VAFFANCULO!”Per essere sicuro che lui non sfondasse la porta a testate, Micalta girò la chiave nella serratura un paio di volte...
CONTINUADepositato S.I.A.E, O.l.a.fApposizione data certa poste italianeR.R.R sigillata spedita all'autore
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