A dieci anni dagli attentati di Madrid, Zapatero ricorda: Non fu possibile una risposta unitaria con Aznar
Da Rottasudovest
A dieci anni dagli attentati di Madrid e dalla vittoria elettorale
socialista, tre giorni dopo, il 14 marzo 2004, José Luis Rodriguez Zapatero
ripercorre per elconfidencial.com quei drammatici giorni. In una lunga
intervista parla degli attentati, del difficile rapporto con José Maria Aznar,
che impedì una risposta unitaria alla sfida del terrorismo islamico, delle
conseguenze e del coinvolgimento dell'ETA, adesso negato anche da chi lo
sostenne, compreso Pedro J. Ramirez, il direttore di El Mundo, che cercò di
coinvolgere servizi segreti ed etarras, per screditare il nuovo governo
socialista, e che, pochi giorni fa, in un'intervista, ha ammesso come
"altamente improbabile" la responsabilità del terrorismo basco
nell'11 marzo.
Zapatero seppe dell'attentato quasi in televisione: "Avevo un'intervsta
con Televisión Española, l'ultima in programma nella tv pubblica, prima della
chiusura della campagna elettorale, e le notizie mi arrivavano drammaticamente
a contagoccia già dall'uscita di cosa. C'erano le notizie di possibili bombe ed
esplosioni e, se lo ricordiamo, si tardò lunghi minuti a stabile che
effettivamente era una bomba. La dimensione della gravità la ebbi essendo già in
tv, in diretta, durante l'intervista. Fu davvero molto, molto traumatico e
molto duro. Si vedeva, sin dal primo moemnto, che tra le vittime c'erano molti
giovani, molti lavoratori, per i treni, la ora… Era straziante".
Non si parlò mai di rimandare le elezioni perché la democrazia "è un
sistema forte, di regole; mantenere le istituzioni e le loro scadenze è al di
sopra di ogni circostanza". Si decise, però, quasi tacitamente, di
sostendere la campagna elettorale, coniderarla già chiusa, a tre giorni dalle
elezioni. "Uno cerca un rifugio per cercare di capire come possa esserci tanta
capacità di fare del male, come si possa essere così selvaggi da mettere bombe
sui treni per ammazzare persone innocenti, sconosciute… E' un processo di
riflessione e ricerca di qualcosa che è al di sopra di qualunque razionalità.
La verità è che ci furono momenti, in quei giorni, in cui questa incapacità di
capire portava alla tentazione di assentarsi e di stare da soli" commenta.
Ma soli non si poteva stare, Zapatero sentì molto, in quei giorni, il suo
avversario, Mariano Rajoy, ed ebbe difficili contatti con José Maria Aznar,
Presidente del Governo uscente. La prima chiamata tra i due fu "molto
difficile, molto dura, perché il mio obiettivo era cercare di dare una risposta
concertata, nazionale, integrata e integratrice davanti ai cittadini. E questo
non fu possibile, diciamolo chiaro, non fu possibile". Per Zapatero "c'era
una responsabilità condivisa tra tutte le forze politiche, che non decisero un
qualcosa di evidente per me come riunirsi, fare una dichiarazioni ecocmune,
fare un appello comune per un atto che dimostrasse queto sentimento comune. Non
successe. La telefonata con Aznar fu fredda, in un momento in cui tutti avevamo
bisogno di una risposta comune, per stare insieme".
Zapatero e Aznar non hanno mai parlato di quei giorni perché "la
relazione non è mai stata tale da avere la confidenza per poter parlare di quei
giorni. Capisco che per lui furono molto duri. Dopo essere passato per il
Governo, posso capire quanto sia difficile che ti comunichino di un attentato di
quelle dimensioni, quanto si soffre. Anche se la sua reazione non è stata
quella che ci saremmo aspettati".
Dal dolore e il lutto per i morti degli attentati alla gioia per il trionfo
elettorale, tre giorni dopo. "Due sensazioni contraddittorie al
massimo" dice Zapatero, che però tiene a sottolineare quanto abbia
apprezzato la risposta degli spagnoli dopo l'11 marzo, una data di lutto che
non si è trasformata in reazioni razziste e xenofobe: "La distinzione
che si seppe fare perfettamente tra persone, che nel nome della religione erano
state così selvagge, e persone, che semplicemente credono nell'islam, è stata
molto importante". E' questa la lezione più importante che l'11 marzo ha
lasciato a Zapatero. Gli rimangono i dubbi sulla "difficoltà che in questo
Paese hanno le forze politiche per unirsi in situazioni di grande difficoltà
nazionale. Forse perché siamo una democrazia giovane e non abbiamo questa tradizione.
Ma dovrebbe servirci questa lezione. A dieci anni dalla tragedia mi chiedo:
l'abbiamo superata? Saremo capaci, un giorno, di fare un gran ricordo tutti
uniti? Un ricordo delle vittime, della sofferenza, della tolleranza, della
buona reazione sociale? E' questa una delle cose che più mi inquietano".
Dieci anni dopo anche le teorie della cospirazione, che hanno amareggiato il
Governo socialista, considerato complice dell'attentato, attraverso l'ETA e i
servizi segreti, che volevano liberarsi del PP, si sono dimostrate infondate.
"Sapevo che il tempo avrebbe rimesso le cose al loro posto… In simili
occasioni c'è sempre chi cerca teorie cospiratrici, ma fotunatamente la
democrazia spagnola, le istituzione, la Polizia e la Giustizia sono forti. E
l'11 marzo, secondo la sentenza della Giustizia, è perfettamente chiaro: fu un
attentato del terrorismo islamico, compiuto da persone organizzate in cellule
più caratteristiche della jihad islamica".
L'intervista a José Luis Rodriguez Zapatero, completa e in spagnolo, è su elconfidencial.com.
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