A fatica…

Creato il 12 gennaio 2016 da 19stefano55

Dopo molto tempo mi ritrovo qui perchè mi piace la piattaforma e lo scrivere viene spontaneo. Ma come sapete avevo optato per un blog specializzato sulla LIS , lasciando qui le emozioni sui fatti, sulla vita, sulle letture.

Poi il mese di dicembre ha causato lo stop sia della mente che del tempo con la malattia di mio padre e l’inizio di un’assistenza giornaliera ospedaliera.

Pertanto è un percorso lungo , interiore ed esteriore ma inevitabile. Trovarvi del positivo ancora mi è possibile per merito delle sue condizioni di spirito ma ho già visto che la volontà non vincerà ne su di me ne su altri.

Ma scrivo anche per qualche dollaro…quindi per proseguire se volete metto la recensione su un libro particolare. La pubblicazione è avvenuta su Ciao.it.

La Montagna dalle sette balze di Thomas Merton

Premessa

Dare un tre al libro autobiografico del monaco Merton forse è un peccato magari veniale, ma leggere 600 pagine scritte negli anni ’50 sul desiderio di amare Cristo e sulle varie traversie della sua vita può essere un consiglio che attirerà pochi lettori e quindi lo giustifico come una scelta dettatata forse dal mio attuale contesto di vita.

===IL Libro==
Più del testo, corposo, spesso proponente una religione che pare una totale resa dello spirito indomito dell’uomo alla trascendenza e quindi realmente difficile da accettare in toto per chi non ha una fede infuocata che il trappista Marton possiede, la mia riflessione la collego sul perchè, sia riuscito a leggere un tal siffatto libro.

Ho un’edizione del 1956,con pagine ingiallite, trovata in qualche biblioteca prima di essere buttata. Con una copertina in brossura rilegata e il prezzo di 1800 lire, edito da Garzanti.
Cosa mi ha spinto a ripercorrere insieme all’autore di cui ignoravo l’esistenza ma che leggendo le prime pagine sapevo nato nel 1915 e quindi poteva essere morto da poco od anche vivente?
Ecco stavo al capezzale di mio padre di 90 anni che lotta (forse si, forse no) per avere una vita anche se certamente molto limitata e a volte incosciente.
Forse il tema? La ricerca di un Dio , le prove, le tante chiese di campagna nel sud della Francia quando era un adolescente e che viveva con il padre, pittore, avendo perso la madre a 5 anni?
L’aver visto anche io quei luoghi dei Pirenei francesi ed essermi immerso nei boschi, nelle guglie, in quella ricerca del silenzio che un bosco può dare.
Non lo so ma andavo avanti ogni tanto guardando mio padre, dormiente o richiedente un intervento per impedire che il catarro ostruisse la trachea.
Forse la voglia di vivere come un santo espressa dal futuro monaco può avermi indotto a riflettere.
Ma la sua religiosità è più collegata alla negazione del mondo, il suo desiderio è di vivere come monaco provando e cercando di capire quale Ordine fosse più adatto a lui.
Di ognuno l’attirava qualcosa: i Certosini, i Francescai, e i Trappisti.
Un’infanzia poco religiosa con un padre che intendeva la Religione come una scelta da fare e non da imporre e lui era protestante.
Certo fino ai 20 anni lui ha vissuto normalmente e cercava il bere, le ragazze, ma il libro ha l’imprimatur della Chiesa, quindi non esiste frase che possa trovare nell’oggi un riscontro.
Solo il suo pentirsi a 25 anni della sua vita precedente mi induce a considerare con quale intensità l’esistenza era vissuta. Allora si era grandi a 15 anni.
Io 60 enne rifletto ora, a contatto con la sofferenza, sui valori, sulle ingiustizie e della sanità son tante e le più crudeli, ma non ho la forza di lasciarmi andare alla volontà di Dio che è il leit motive del libro .
Proverà anche la delusione di una prima rinuncia nell’entrare in un monastero e quando finalmente dopo mille paure di essere un peccatore si battezzerà , riuscirà con gradualità ad arrivare al monastero trappista, ordine questo di cui rimase entusiasta nell’andarlo a vedere vicino a Roma, ove visitò le chiese che sempre lo attrassero ma dove per la prima volta comprese che non c’era solo l’arte ma anche uno spirito, un altare che attirava a se.
Il libro è piacevole nelle prime pagine, da lettore laico dove l’autobiografia scorre con belle illustrazioni dei paesaggi francesi, inglesi e poi americani dove la sua vita si svolse. La guerra vivendo l’autore in America viene vista da lontano e la sua chiamata alle armi negli anni ’40 denota una scarsa necessità di uomini da parte dell’esercito americano che lo esonera per avere un’insufficiente dentizione.
La sua vita è piena di tentativi di scrivere romanzi, poesie. Di essere dentro lo staff di giornali, riviste.
Di insegnare letteratura Inglese agli studenti della Columbia University ma il silenzio assoluto lo chiama.
Troverà nel Monastero forse una contemplazione attiva, dovendo i frati produrre da se i loro sostentamenti: lavorerà la terra, farà il boscaiolo ma anche i superiori capiranno la sua qualità di scrittore e giù a tradurre le vite dei santi, a produrre guide per i novizi.
Le ultime pagine raccontano che questa sua capacità di scrivere lo allontanava dal deserto e avrebbe voluto estraniarsi, vivendo solo del rapporto assoluto con Dio. Ma un monastero anche negli anni 50 era luogo da gestire, quindi ora et labora e per Marton doveva essere lo scrivere.