Insegnare la Fisica all’Università a coloro che pensano che la Fisica sia un esame ostico, troppo lungo e pressochè inutile, non è impresa semplice, ma probabilmente stimolante. Lasciamo da parte le platee di studenti iscritti al Corso di Laurea in Fisica, tipicamente estremamente attratti dall’insegnamento ed in ampia parte affetti dalla patologia “Se sono qui è per prendere il Nobel”. Trascuriamo i miti correlati elaborati da Tullio Scopigno e Roberto Di Leonardo, secondo cui i fisici assumono una posizione estrema nei confronti dei doveri didattici, ovvero o si dedicano totalmente alla didattica ai limiti dell’esaurimento psicofisico o si dichiarano totalmente insofferenti verso di essi (miti che confermo in toto, e di cui vi consiglio la divertente lettura). Guardiamo invece all’insegnamento quadratico medio della Fisica nelle nostre Università, e proviamo a trovare quel che di positivo e di negativo sia rintracciabile.
Trascurando la domanda sul perchè ci sia sempre più di frequente questo tipo di lacuna, ho adottato l’approccio che potrebbe essere sintetizzato dallo slogan riportato da Jeremy Craven in una sua presentazione illustrativa della didattica che ho ascoltato qualche mese fa, ovvero “Low on facts, high on concepts”. In pratica, l’insegnamento della Fisica deve ambire a fornire concetti “alti”, descrizioni che ambiscono all’universalità e stimoli che vadano oltre l’applicazione di un certo set di equazioni. Dall’altra parte, non occorre perdere di vista la terra, la quotidianietà dove rintracciare l’equazione appena dimostrata. Insomma, l’altalena è sempre cruciale: nel calcolo dei momenti delle forze, nelle metodologie didattiche e, magari, anche nella vita.