A Luang Prabang

Creato il 16 novembre 2014 da Patrickc

Viaggio in Laos – 2. Una città bellissima, ma che ha perso un po’ della sua anima. E dove è facile perdere anche la misura del tempo.

“una preghiera ipnotica…” (foto di Patrick Colgan, 2014)

Una preghiera ripetitiva, ipnotica alle mie orecchie occidentali, che si spande nella strada. Arriva da un tempio, mentre il tramonto fa brillare le dorature del tetto e incendia i colori, quelli delle bandiere rosse come quelli delle vesti arancioni dei monaci. Noi che appoggiamo le biciclette e ci avviciniamo in silenzio. Ormai anche i tuk tuk si sono fermati per la cena, gli autisti ancora in giro sonnecchiano aspettando un cliente. Si dipanano da queste immagini i ricordi di Luang Prabang. Si scioglie un nodo di colori, suoni, odori che scivolano lentamente come l’acqua del Mekong e del Nam Khan e la memoria diventa dolce, avvolgente. Sono proprio questi fiumi pigri a dare il ritmo alla città. Non puoi restare mai troppo a lungo senza vedere le acque che scivolano placide. Diventano una compagnia costante e, anzi, ti trovi a cercarle, come se non potessi più farne e a meno, e ti trovi a desiderare un caffè nei locali che si affacciano sul corso solo per lasciare che gli occhi si facciano trasportare dal flusso e con loro la tua immaginazione. Non so quanto quest’acqua che scorre sia veloce, ma immagino che magari quella che scorre sotto al mio naso in questo momento potrebbe essere la stessa che rivedrò fra qualche giorno 400 chilometr più a sud, a Vientiane.

Tramonto sul Mekong, Luang Prabang (foto di Patrick Colgan, 2014)

Una città di atmosfera

Luang Prabang, l’antica Xieng Dong Xieng Thong, è una città di momenti, più che di luoghi. E di atmosfera, più che di stupore. Va capita e assaporata lentamente, spostandosi a piedi o in bicicletta, restando in un tempio ad ascoltare il silenzio, cercando un momento solitario dall’alto del monte sacro Phu Si, che spacca in due la città. Solo da lì ti rendi davvero conto che è una macchia di case e templi dorati avvolti dalle acque e da una giungla sconfinata. Ma non si prova alcuna ansia per questo. Luang Prabang è una città dove chi può dovrebbe fermarsi almeno tre o quattro giorni e finirà comunque per passarne di più, apprezzando il caffè forte di fronte al fiume, il massaggio lao a fine giornata, il pesce di fiume cotto nelle foglie di banano, una passeggiata fra le lanterne lungo la via principale, dove fra le bandiere con la falce e il martello e il viavai di turisti riaffiorano echi coloniali. E forse, restando più a lungo, scoprirà anche cosa si cela dietro questa superficie, dietro al volto accogliente che presenta ai turisti: una città che – così racconta chi ci vive -, è cambiata completamente dopo il 1995, quando diventò Patrimonio Mondiale Unesco e che forse ha perso assieme alla tranquillità un po’ della sua anima. Tiziano Terzani temeva questa prospettiva, ne scrive in Un indovino mi disse, temendo l’arrivo di nuovi invasori di cui, a ben vedere, facciamo in effetti parteparte.

E così l’aumento dei prezzi ha riempito il centro di alberghi (alcuni davvero belli). E altri ancora sono in fase di progettazione, come se la città potesse ospitare un numero di turisti pressoché infinito senza diventare irriconoscibile. E poi si è popolata di cambiavalute, agenzie di viaggio, spa, ristoranti. E, mentre il centro cambiava, un movimento centrifugo ha spinto i residenti e i lavoratori a stiparsi in case-dormitorio di periferia dove si può ancora vivere con poco e risparmiare qualche kip. Anche i backpacker stranieri che qui un tempo indugiavano a lungo ora ripartono più in fretta e fanno spazio a gruppi di americani e cinesi: i prezzi restano bassi per un occidentale, ma il doppio o il triplo rispetto ad altre città del Laos. E quando il tuo viaggio si misura in mesi – come spesso succede in questo angolo dell’Asia - una permanenza in una culla morbida e dorata come Luang Prabang, può divorare rapidamente il budget di settimane.

Questa bandiera è esposta da una pizzeria, ma in Laos sono frequenti, anche in tv (foto di Patrick Colgan, 2014)

Monaci davanti al Wat Ho Pha Bang Luang Prabang, foto di Patrick Colgan (2014)

La salita al Phu Si (foto di Patrick Colgan, 2014)

Luang Prabang dall’alto, foto di Patrick Colgan (2014)

Il Nam Khan. Luang Prabang dall’alto foto di Patrick Colgan (2014)

Il tempio Phu Si (foto di Patrick Colgan, 2014)

Fra i templi di Luang Prabang

Il turismo in crescita non ha però ancora intaccato la bellezza di questo luogo. Ci si meraviglia ancora, di continuo. Sono città diverse e lontane eppure camminando per le vie di Luang Prabang ritrovo la lentezza e déja vu della ‘mia’ amata Kyoto e un filo che collega luoghi così distanti dell’Asia. Il suono di un gong che echeggia lungo una strada, i gruppi di giovani monaci, i giardini quieti, immobili. Momenti di bellezza che non sono andati perduti. Il tempio buddista più grande è il Wat Xieng Thong, un po’ isolato all’estremità orientale della penisola che è  il cuore della città storica. Risale al 1560 ed è uno dei pochi che fu risparmiato dalle devastazioni del 1877, quando ci fu un violento attacco delle Bandiere Nere cinesi che devastò gran parte del patrimonio storico della città. I monaci si spostano in fila fra i vari edifici, camminando lungo le scansioni di giornate che prevedono un alternarsi di preghiera e studio.I novizi sono tanti, anche giovanissimi e può capitare di scambiare qualche chiacchera con loro. Molti laotiani buddisti (circa il 65 per cento della popolazione) diventano monaci almeno per qualche mese o anno della loro vita. E’un modo per acquisire meriti religiosi, ma anche per procurarsi un’istruzione, come racconta Mauro Proni nel suo bel libro su usi e costumi del Laos. Forse, generalizzando malamente e leggendo fra le righe del libro di Proni, questa esperienza modella anche parte del carattere nazionale distaccato, mite e un po’ indolente.

Wat Xieng Thong, Luang Prabang (foto di Patrick Colgan, 2014)

Wat Wisunalat, Luang Prabang. Il suo fascino non è intaccato dal restauro a base di cemento (foto di Patrick Colgan, 2014)

I templi sono numerosi e i tetti scintillanti, le guglie degli stupa spuntano ovunque. Lo si vede chiaramente dall’alto. E’ da qui, da questi punti disseminati per la città, che le file di monaci partono all’alba per la famosa questua, il tak bat (di cui scriverò in un prossimo post). Gli edifici spesso hanno subito pesanti ristrutturazioni all’inizio del 900, ma hanno mantenuto il loro fascino che forse non è nelle pietre, ma nel luogo, in senso più ampio.

Si va dai templi lungo il Nam Khan, come il That Pathum e il Wat Wisunalat, immersi in un tranquillo giardino ai margini dei flussi turistici, fino al Wat Ho Pha Bang, accanto al palazzo reale. Custodisce il Buddha Pha Bang, il più sacro della città e che le dà il nome. Secondo la leggenda ha duemila anni e viene dallo Sri Lanka (ma forse ha qualche anno di meno). E infine c’è il famoso Phu Si con i suoi scalini. Sono gradini che sembrano non esaurirsi mai e si annodano fra la vegetazione salendo i 100 metri dell’altura che domina la città. Ma naturalmente sarai ripagato: quella che ti aspetta è una delle immagini più nitide e belle che porterai a casa da questo viaggio.

Come arrivare, dove dormire

Trasporti

Luang Prabang è collegata in aereo con numerose città del sud est asiatico, in particolare la capitale del Laos, Vientiane, e Bangkok. L’aeroporto è piuttosto piccolo e non è certo la grande pista capace di accogliere jumbo che temeva Terzani. E’ a quattro chilometri dalla città e il tuk tuk non dovrebbe costare più di 60mila kip (circa 6 euro). Nella mia esperienza il biglietto è risultato più economico fatto in agenzia sul posto che sul web.

Bus notturni e diurni di varie categorie collegano invece Luang Prabang con Vang Vieng e Vientiane, a sud, e con Udomxai, Luang Namtha e altre destinazioni, a nord. Le strade sono in gran parte in pessime condizioni e strette e in passato c’è stato qualche incidente. Resta però l’unico modo o quasi per viaggiare. A volte salendo sul bus sembra di entrare in un frullatore vista la quantità inconcepibile di buche e vibrazioni che si è costretti a sopportare. Le durate e gli orari di partenza sono in genere indicativi e possono esserci scostamenti anche di ore. E’ Asia del resto…

Sul web si discute se prendere il bus notturno o diurno. Io ho preso il notturno e sono felice della scelta (con una pastiglia di xamamina che mi ha aiutato a star bene e… a prendere sonno fra una buca e l’altra). Di giorno sarebbe stato probabilmente peggio e con molto più traffico.

La barca

Al trasporto fluviale dedicherò un intero post. In breve, le guide cartacee che ho avuto modo di consultare non sono aggiornate sul tema, dal momento che le dighe cinesi in costruzione sui fiumi hanno modificato profondamente i collegamenti. L’unico collegamento attivo da e per Luang Prabang è con Huay Xai, al confine con la Thailandia. La navigazione lungo il Mekong dura due giorni, con sosta intermedia a Pakbeng. Le barche, da 50-60 posti, trasportano quasi esclusivamente turisti. Su questo viaggio ci sono pareri discordanti e non ho capito se sia più un viaggio rilassante o un’odissea su barche sovraffollate dove i backpacker americani fanno scorrere alcol a fiumi. Probabilmente dipende dal giorno.  O dalla serenità d’animo di chi compie il viaggio.

Un tuk tuk parcheggiato lungo la via principale (foto di Patrick Colgan, 2014)

Come se non bastasse da alcuni anni le barche non arrivano più in centro a Luang Prabang ma scaricano i passeggeri 10 chilometri prima per motivi poco chiari. Formalmente pare che sia per via di una diga, ma non è stato possibile appurarlo e c’è chi sospetta (come nel post appena citato) che sia solo per far lavorare i tuk tuk.

Un tempo era anche possibile salire da Luang Prabang verso nord lungo il Nam ou, ma il fiume è interrotto da una diga in costruzione e quindi l’unica possibilità è arrivare fino a Nong Khiaw in bus. O – come abbiamo fatto noi – organizzare il viaggio con l’aiuto di un’agenzia che si occupa di ecoturismo come Green Discovery Laos. Il tema sarà trattato in modo più approfondito in un post.

Dove dormire

Ci sono soluzioni davvero per tutte le tasche. Dai boutique hotel – molti dei quali sono allineati lungo il Mekong – alle guesthouse molto economiche. Noi abbiamo scelto una via intermedia con la guesthouse Khoum Xienthong: stanze splendide, un bellissimo giardino dove far colazione e bici gratuite a disposizione. Abbiamo provato anche Villa Pumalin, in una graziosa stradina appena dietro al mercato notturno: il livello delle stanze è più alto, ma non so se giustifica la differenza di prezzo. E le bici andavano affittate al negozio vicino.


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