Bruno Zanin
La natia Rimini, descritta ne I vitelloni (1953), come città di provincia – ventre materno dove coltivare le illusioni di una vita diversa, senza mai impegnarsi in alcuna attività propensa agli agognati mutamenti, in Amarcord diviene simbolo del fluire della memoria indietro nel tempo, al periodo della propria infanzia ed adolescenza, fra toni onirici e dilatazione fantastica. Il tutto in un’ambientazione, ricostruita a Cinecittà, resa ovattata dalla fotografia di Giuseppe Rotunno in felice sinergia con le scenografie e i costumi di Danilo Donati, mentre il progredire narrativo è suggestivamente cullato dalla musica di Nino Rota, qui distante dai toni circensi per divenire più morbida ed avvolgente, levigata, al pari delle tante reminescenze che emergono dal nostro passato.
Maria Antonietta Beluzzi, la tabaccaia
La vita propria del e’ borg, il quartiere di San Giuliano, viene narrata attraverso una serie di figure tipiche, apparentemente bozzettistiche (dalla prosperosa tabaccaia all’indimenticabile signorina Gradisca, Magali Noël, senza tralasciare, fra gli altri, Teo, lo zio matto, interpretato magistralmente da Ciccio Ingrassia, o un personaggio come Volpina), ma in realtà trasfigurate attraverso una luce puramente onirica, come se il regista, attraverso il suo alter ego narrante, Titta Benzi (Bruno Zanin), rammentasse tutto attraverso il sogno, dalle tipiche storie di paese, ad avvenimenti come il passaggio della 1000 Miglia o l’apparizione notturna del transatlantico Rex, con una propensione alla dilatazione fantastica.
Josiane Tanzilli, “Volpina”
Amarcord, come da titolo (citazione di una poesia di Tonino Guerra, sceneggiatore della pellicola insieme a Fellini, A’m’arcord, io mi ricordo in dialetto romagnolo) rappresenta la rimembranza alimentata da una costante malia immaginifica, che trova alveo naturale, attraverso la macchina da presa, in un flusso continuo d’immagini. Queste ultime vengono quindi visualizzate servendosi spesso di una deformazione caricaturale, grottesca, in equilibrio fra coinvolgimento ed ironica presa di distanza, una visione poetica non inficiante però il realismo: la pellicola attraversa infatti un periodo che va dalla primavera del 1932 a quella del 1933.
Magali Noël , “Gradisca”
L’Italia si trova sotto il regime fascista e Fellini, pur usando toni ironici, non indietreggia certo nel delinearne la limitatezza ideologica, facile ad insinuarsi in un clima di povertà culturale e limitate condizioni sociali, opportunamente alimentato, una mistificazione idonea a creare un succube conformismo d’accettazione passiva. S’intravede l’immaturità di un popolo imbelle, impotente nel prendere posizione contro prepotenze ed ingiustizie, anche se Fellini visualizza e lascia scorrere gli avvenimenti, offrendo essenziale rilevanza al suddetto tema del ricordo, considerato come qualcosa di assolutamente necessario, riprendendo le parole del maestro: “(…) la necessità di una separazione da qualcosa che ti è appartenuta, nella quale sei nato e vissuto, che ti ha condizionato, ammalato, ammaccato, dove tutto si confonde emozionalmente, pericolosamente, un passato che non deve avvelenarci, e che perciò è necessario liberare da ombre, grovigli, vincoli ancora operanti, un passato da conservare come la più limpida nozione di noi stessi, della nostra storia, un passato da assimilare per vivere più consapevoli il presente”.
Il passaggio del “Rex”
Il restauro di Amarcord è stato realizzato presso il laboratorio L’Immagine Ritrovata della Cineteca di Bologna a partire dal negativo camera, scansionato sotto liquido alla risoluzione 4K.
Nel negativo originale alcune inquadrature erano state sostituite nel tempo con un internegativo di seconda generazione.
Per queste inquadrature in alcuni casi è stato ritrovato, e quindi reintegrato nella versione restaurata, il negativo originale che era stato sostituito a causa di gravi rotture. Dove non è stato possibile reintegrare il negativo originale, le parti di internegativo di seconda generazione sono state scansionate e restaurate a partire da un interpositivo e da un reversal internegativo, entrambi di prima generazione.
Ciccio Ingrassia (Zio Teo)
Il suono è stato restaurato a partire dal mix magnetico italiano e dal negativo suono dialoghi, musica ed effetti. Il pool dei restauratori si è potuto avvalere della collaborazione di uno dei più grandi direttori della fotografia della storia del cinema, oltre che di Amarcord, Giuseppe Rotunno, il quale ha verificato in prima persona la qualità dei test sottoposti di volta in volta alla sua attenzione. La proiezione di Amarcord sarà preceduta da Amarcord Fellini, un filmato composto da provini, tagli e doppi scelti da Giuseppe Tornatore.
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A m’arcord
Al so, al so, al so,
Che un om a zinquent’ann
L’ha sempra al méni puloidi
E me a li lév do, trez volti e dé
Ma l’è sultént s’a m vaid al méni sporchi
Che me a m’arcord
Ad quand ch’a s’era burdéll.
Io mi ricordo
Lo so, lo so, lo so,
Che un uomo a cinquant’anni
Ha sempre le mani pulite
E me le lavo due, tre volte al giorno.
Ma è solamente se mi vedo le mani sporche
Che mi ricordo
Di quando ero ragazzo.
(Tonino Guerra)
Regia: Federico Fellini.
Sceneggiatura: Federico Fellini, Tonino Guerra. Fotografia: Giuseppe Rotunno. Montaggio: Ruggero Mastroianni. Musica: Nino Rota. Scenografia e costumi: Danilo Donati.
Interpreti: Bruno Zanin (Titta), Pupella Maggio (Miranda), Armando Brancia (Aurelio), Stefano Proietti (Oliva), Giuseppe Ianigro (nonno di Titta), Nandino Orfei (il “Pataca”), Ciccio Ingrassia (Teo), Carla Mora (Gina), Magali Noël (Gradisca), Luigi Rossi (l’avvocato), Maria Antonietta Beluzzi (tabaccaia), Josiane Tanzilli (Volpina). Produzione: Franco Cristaldi per F.C./P.E.C.F.