11 febbraio 2014 di Pierluigi Camboa
Una storia vera
Opera dell’artista Rocco Forgione
Venerdì, 31 gennaio 2014. Oggi è una malinconica e mesta giornata di pioggia: anche il cielo sembra essere triste. Ho appena ricevuto una terribile notizia: Costantino non c’è più!
Voglio onorare quel piccolo grande uomo…
Un giorno di cinque anni fa – era un piovoso venerdì di novembre – tenni una lezione sul tema dell’assistenza alla persona anziana in una splendida (strano a dirsi, ma è proprio così) casa di riposo di una regione dell’Italia centrale; tra gli uditori c’era anche un piccolo gruppo di anziani, adeguatamente selezionati tra gli ospiti della residenza con disabilità grave solo fisica, ma con ancora dentro tanta voglia di vivere e di sognare.
Credo che fu proprio l’insolita presenza di quegli strani allievi a stimolarmi positivamente, al punto che, al termine della lunga lezione, mi sentivo particolarmente soddisfatto, anche per il gran numero di richieste di chiarimenti e per l’evidente interesse suscitato, fino alla conclusione, tra chi mi aveva ascoltato.
Al termine della lezione, mi venne incontro, con andatura incerta, lenta e falciante, uno degli anziani presenti, con un bel sorriso a tre denti (credo che gli altri 29 li avesse persi ormai da tempo), mentre una suora si batteva il capo con l’indice, come per farmi capire che quel vecchietto era un po’ tocco.
Mi tese sorridente la mano sinistra (l’altra era flessa e immobile, quasi ancorata al torace) e si presentò: Costantino, 81 anni, da circa 20 emiparetico e parzialmente afasico in seguito ad ictus cerebrale.
Il simpatico vecchietto volle innanzitutto complimentarsi con me, poiché avevo trattato il tema – a lui assai caro – delle emozioni e dei sogni delle persone anziani e disabili; poi mi raccontò la sua bella e malinconica storia, quella di un impiegato postale trasferito all’età di 50 anni nell’ufficio di un tanto piccolo, quanto delizioso e fertile villaggio della pianura, dissetato dalle sorgenti di un piccolo corso d’acqua (poco più che un rigagnolo, in verità), che un tal giorno, sollevando il capo al suono di una voce soave, fu colto da un’emozione intensa. Mi disse: “Ebbi forte l’impressione di trovarmi al cospetto della Madonna e di vedere, come per incanto, in quel giorno uggioso e triste, tutti i mandorli in fiore”.
Mi disse anche che l’unica gioia per il suo malinconico e solitario cuore era quella di poter rivedere quel volto dolcissimo tornare, circa una volta al mese, nel suo ufficio: “Sai, non ho alcun rimpianto per non averle detto mai quello che provavo (e provo) per lei, perché non credo alle favole e so che una principessa non avrebbe mai potuto provare interesse per un essere anonimo come me; ma – credimi ! – soffro ancora sempre tanto al risveglio, tutte le mattine, dopo aver sognato di essere stato in auto con lei a guardare i nuvoloni gonfi di pioggia sulla riva del mare e di averla baciata con tanta dolcezza, stringendole la piccola mano nella mia… Ricordo anche che in un gelido venerdì di gennaio, incontrandola in un bar, le sfiorai le labbra con un bacio, ma credo si sia trattato solo di un sogno…”.
A quel punto, tirò fuori una logora foto di gruppo in bianco e nero, dicendomi che era quello tutto ciò che gli era rimasto di quella bellissima donna, della quale era riuscito a sapere che d’estate andava a lavorare (da maggio a settembre) in un delizioso resort del Sud immerso nella quiete di un grande bosco ed a conoscere solo il nome (ma non il cognome); mi sfidò, poi, sorridendo, ad indovinare chi, tra quella abbondante dozzina di donne della foto, fosse la sua amata, ed io gli indicai subito, e senza indugio alcuno, la seconda in alto a sinistra, quella magrolina con i capelli a caschetto e con gli occhiali.
“Ma come hai fatto ad indovinare?”.
“Vedi, Costantino, non è stato difficile. Il mio ragionamento è stato semplice, elementare, direi: ho pensato, infatti, che se io fossi un pittore sacro non avrei avuto alcun dubbio a scegliere quella giovane donna come modella per un ritratto della Madonna, e poi mi è sembrato così naturale aver individuato l’unica donna che sembra sprizzare colore e vita, come un grande sorridente arcobaleno tra nuvoloni grigi e gonfi di pioggia, in quella tua vecchia foto in bianco e nero”.
Costantino mi ringraziò soddisfatto e tirò fuori lentamente un altro vecchio logoro foglio ripiegato in quattro e ormai mezzo sfilacciato. Conteneva i versi che aveva scritto per lei: “Sono più di trent’anni”. Mi chiese, quasi implorandomi, di fare di tutto perché lei li potesse leggerli: “Promettimelo! Vorrei davvero tanto, prima di morire, che lei sapesse cosa provo per lei da tanto tempo. Il suo nome è Marianna e vive in quella piccola frazione nella quale l’ho conosciuta, quella del mio vecchio ufficio postale, che oggi non c’è più”.
“Te lo prometto, Costantino!”.
Non riuscii mai a scoprire chi fosse, quella donna… Oggi sono passati più di cinque anni dal giorno in cui lo conobbi e credo sia giunto il momento di mantenere quella promessa. Conto di pubblicarla online su “Cultura Salentina”, Costantino, e spero proprio che la tua splendida ragazza la legga e sappia che l’hai scritta per lei.
Addio, Costantino!
Sono più di trent’anni…
Sono un vecchio barcone abbandonato
Sulla deserta spiaggia e sporco di catrame;
Per unici compagni solo la sabbia e il vento,
Mi sento vinto e stanco: inutile fasciame!
Solcavo il mare aperto, di notte e sotto il sole,
E i frutti frangevo come una tenera carezza,
Pensando e ripensando, negli attimi di quiete,
A quel sorriso magico, di infinita dolcezza,
Quello che vidi un giorno nel piccolo villaggio,
Dove vivevi e vivi, dolce dono del Cielo,
E mentre i coleotteri corrodono il mio legno
Ti penso come un fiore proteso sul suo stelo,
Tu m’hai donato un sogno e vivida speranza
Da tempo immemorabile, colori e dolci suoni.
Il tramonto è vicino: sarò arso sul rogo,
Ma mi par di volare più in alto degli aironi.
La mia vista s’offusca: tutto grigio m’appare,
Ma se appena ti penso, rivedo i prati in fiore.
Come un faro nel buio, sei la donna che amo:
Sono più di trent’anni che ti porto nel cuore.