Siamo di fronte a uno dei più formidabili casi di persuasione esplicita che si siano verificati. E dei più sconcertanti. L’ipnotizzatore ha un gran successo anche se – bisogna ammetterlo – non è dotato di alcun appeal, è bolso, con una voce querula, con lo sguardo vuoto come vuoti sono i suoi proclami. Si potrebbe pensare che funzioni perché è il volto prestato a una diffusa mediocrità, si potrebbe sostenere che vada bene perché rappresenta la media normalità dopo un’anomalia. Avendone però assunto o ereditato modalità, sistemi, vezzi e vizi semmai dovrebbe interpretare la continuità, seppur travestita da cambiamento.
In verità il favore di un ipnotizzatore dipende largamente dalla disponibilità degli spettatori nel teatro a farsi ingannare dai suoi trucchi. E la riuscita di un mago da fiera è condizionata dalla credulità dei passanti che preferiscono farsi distrarre dalla sua parlantina per non accorgersi dei suoi stratagemmi, mentre ruba loro il portafogli.
Succede così che – pur non essendo magnate delle tv, pur non essendo un tycoon che si è fatto da sé – il vero successore della dinastia Berlusconi non sia uno dei suoi figli, ma una sua imitazione ancora più cinica e spregiudicata, ancora più bugiarda e sfrontata. Probabilmente perché gli è ignota la fatica dell’auto affermazione, lo sforzo del lavoro. E forse perché la crosta che si forma con umiliazioni, ripieghi, digestione di rospi, piaggerie, inchini, abiure, lui ce l’ha avuta dalla nascita: è nato con la camicia, quella fatta di fortuna, cinismo, privilegi, e che possiedono appunto quelli “chiamati” a perpetuare per tradizione familiare – oppure per indole dimostrata, per tendenza a prestarsi a compromessi e tradimenti in nome dell’autocompiacimento, dell’ambizione, dell’arrivismo – il rispetto, la manutenzione e la cura di interessi particolari di pochi.
Insomma piace perché serve, a pochi, e perché molti vogliono o addirittura devono farselo piacere, così che si possa stare appartati come direbbe Razzi a “farsi i cazzi propri”, nella suggestione di essere toccati da un po’ di quella polverina che un tempo si chiamava provvidenza, o fortuna, o esito di quella distribuzione iniqua e arbitraria certo, ma buttala via! del profitto e delle rendite di chi ha e che si pensava arrivasse in forma minima a chi non ha.
Si sapeva che la menzogna occorre alla politica soprattutto quando si impoverisce e degenera in professione o meglio in mestiere, si sa che da tempo abbiamo accettato come moralismo l’inquietudine che vorrebbe ripescare dalla naftalina la metafora della “casa di vetro”, e farne un dei criteri con cui giudicare la qualità di un regime. Si sa che il processo lento o veloce, cauto o cinetico verso un totalitarismo ha bisogno di distruggere il passato, di poterne disporre a propria discrezione, nella pretesa di incarnare un verità assoluta.
Nell’impero celeste ogni dinastia inaugurava il suo regno riscrivendo la storia passata: ma qui la tradizione ha trovato ottima accoglienza tanto che si riscrive continuamente il presente e il futuro tramite annunci poi travolti e aggirati, bugie reiterate anche attraverso interposta persona. A dimostrazione che se la politica ha bisogno della menzogna , ne sente la necessità anche chi della politica si è fatto espropriare, i cittadini, persuasi dell’opportunità di una verità “superiore”, etica in quanto emessa dai detentori del potere, preferibile alla incertezza di un’opinione, o peggio di una critica subito tacciata di costituire un errore, di rappresentare disfattismo e di indurre la malasorte dei gufi.
E d’altra parte perfino i pochi che denunciano la qualità mistificatrice del premier gli riconoscono il “merito” di essere un ottimo comunicatore, che nella nostra contemporaneità dopo anni di venditore di spazzole, spazi pubblicitari e illusioni, anche calcistiche, coincide con millantatore, imbroglione, abbindolatore. Pare appartenga a questo bagaglio di attributi eccezionali che stanno trasformando l’anomalia in patologia italiana, l’insolente capacità di dichiarare che vanno “ cacciati a calci nel culo” coloro che si fanno corrompere nell’esercizio delle loro funzioni pubbliche, mentre si predispone un decreto che attuerebbe un nuovo scudo fiscale grazie a un nuovo maxicondono per favorire il rientro dei capitali trafugati all’estero. Oppure la rivendicazione di un consenso plebiscitario sancito dal “voto”, manomettendo oltre al reale valore del pronunciamento europeo, la qua cifra di maggioranza inusitata, se il ragazzotto fortunato possiede in realtà il favore del 20,62 per cento degli italiani. O anche in virtù della bestialità berlusconiana dell’investitura popolare, l’av0cazione a sé, al mai votato, della padronale ultima decisione in tutte le materie, negli interventi sulla Costituzione, nella repressione del dissenso, nella promulgazione di leggi anti popolari, nella manipolazione del concetto stesso di legalità, valore rinunciabile rispetto all’indispensabile primato del profitto.
Se le bugie hanno il naso lungo e le gambe corte, è proprio confermato che gli italiani sono innamorati di un mostro.